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Dido and Aeneas
Opera in tre atti di Nahum Tate
Musica di Henry Purcell 1659-1695
Prima rappresentazione: Londra, Collegio di Josias Priest, ottobre (?) 1689

Personaggi
Vocalità
Aeneas
Tenore
Belinda
Soprano
Dido
Soprano
due streghe
Soprano
due streghe
Soprano
la maga
Soprano
seconda donna
Soprano
un marinaio
Soprano
uno spirito
Soprano
Note
Si ha notizia di un’unica rappresentazione diDido and Aeneasvivente Purcell, nel 1689, presso il collegio femminile di Chelsea, un sobborgo di Londra, diretto da Josias Priest. A eccezione del ruolo di Enea, la parti solistiche furono quindi presumibilmente scritte per soprano, e interpretate dalle ragazze del collegio. Nel 1704 l’opera fu rappresentata a conclusione di serata al Little Lincoln’s Inn Fields Theatre e, sempre nel Settecento, fu allestito comemasquenell’ambito di un adattamento diMeasure for Measuredi Shakespeare. Della prima rappresentazione ci Ăš rimasto solo il libretto, con un prologo che manca, invece, nel cosiddetto manoscritto Tenbury, il piĂč antico che ci sia giunto, che risale a un periodo successivo al 1748 ma fu probabilmente copiato da una fonte precedente al 1720. Questo manoscritto Ăš inoltre privo del coro e della danza che chiudono il secondo atto, presenti nel testo di Tate e con i quali, peraltro, si concludono tutte le altre scene dell’opera. Nella prassi esecutiva spesso si introducono, secondo le abitudini dell’epoca, brani sostitutivi, sulle parole di Tate. Nell’edizione curata da Benjamin Britten e Imogen Holst, la maga e le due streghe intessono un trio di giubilo (daThe Indian Queen,1690), poi affidato al coro (daWelcome Song, del 1687), che sfocia in una danza strumentale tratta dall’ouverture delSir Anthony Love, 1690. Altre diversitĂ  del manoscritto rispetto alle indicazioni del libretto, lasciano supporre che fosse prevista una danza anche nella prima scena del secondo atto, poi omessa dallo stesso Purcell, e che fosse stato improvvisato un brano con accompagnamento di chitarra. In un altro manoscritto della fine del Settecento, si trovano alcune differenze nei ruoli vocali. La maga, ad esempio, Ăš scritta in chiave di basso, forse in relazione all’allestimento comemasqueinMeasure for Measure, dove la parte venne interpretata da un basso-baritono, Wilshire. In effetti, i recitativi accompagnati sono generalmente affidati, nelle opere di Purcell, ai ruoli maschili. Inoltre, la parte del primo marinaio era scritta in chiave di violino, e quindi eseguita da una voce femminile o bianca ma, nel caso diMeasure for Measure, era stata eseguita dallo stesso Wiltshire, che interpretava anche il ruolo della maga. Pubblicata poi tra il 1887 e l’89 da William H. Cummings, venne ristampata in edizione moderna, nel 1960, dalla Purcell Society Edition.

Dido and Aeneasmantiene evidenti legami con il genere delmasquee risente dell’influenza delletragĂ©dies en musiquedi Lully, sia per la massiccia presenza di danze e l’importanza delle situazioni scenografiche, sia per l’impianto drammaturgico essenziale, nel quale si inseriscono personaggi umani e allegorici. Non bisogna dimenticare che Priest, il direttore del collegio femminile, era maestro di danza e coreografo. Nel prologo, del quale non ci Ăš rimasta la musica, si narra dell’arrivo dal mare di Febo Apollo, raggiunto poi da Venere: si Ăš avanzata l’ipotesi che possa trattarsi di un’allusione alla rivoluzione di Guglielmo d’Orange (1688); in tal caso,Dido and Aeneaspotrebbe essere stata scritta per l’incoronazione di Guglielmo e Maria, avvenuta l’anno successivo. Un’ulteriore conferma potrebbe derivare dalle indiscutibili affinitĂ  con ?Venus and Adonis(1680) di John Blow, il maestro di Purcell. Oltre al carattere generale, nellaDidosi possono riconoscere vere e proprie citazioni tematiche tratte da Blow, nonchĂ© la costante presenza di danze e cori. Inoltre ancheVenus and Adonisera stata rappresentata nel 1684 al collegio femminile di Josias Preist a Chelsea. Le due opere furono probabilmente concepite come intrattenimenti di corte (Venus and Adonisfu originariamente scritta per Carlo II, la sua amante Mary Davis e la figlia illegittima Lady Mary Tudor) e poi adattate alle esigenze dell’aristocratico collegio femminile. I riferimenti alla situazione politica inglese, piĂč espliciti nel prologo, si intrecciano alla ricca e sfaccettata simbologia stregonesca che in Tate, a differenza del libro IV di Virgilio, attribuisce l’abbandono di Didone da parte di Enea non al diretto volere degli dĂši, ma a un capriccio delle forze maligne. Didone ne esce quindi come personaggio musicalmente e narrativamente ancora piĂč nobile e fiero, al confronto del quale Enea risulta invece vile e insicuro.

Atto primo. L’ouverture, nella forma francese di un solenne Adagio cui segue uno spumeggiante tempo veloce, ci introduce nel palazzo reale di Cartagine. Belinda, confidente di Didone, intuisce il suo tormento, e cerca di distoglierla dai funesti presagi che la opprimono prospettandole un futuro raggiante (“Shake the cloud from off your brow”); il coro dilata e sostiene il suo stato d’animo (“Banish sorrow, banish care”). Ma Didone, nella bellissima aria in forma di ciaccona che chiude l’episodio, si tormenta e afferma di considerare la pace ormai estranea alla sua anima (“Ah Belinda, I am press’d with torment”). Nel recitativo seguente, Belinda la spinge a confidarsi, intuendo che l’ospite troiano Ăš la causa della sua inquietudine. Confidando che l’alleanza permetterĂ  a Troia di rinascere e porterĂ  maggiore sicurezza a Cartagine, la sua voce si espande melodicamente fino a introdurre l’ augurio del coro per un accresciuto benessere dei due popoli (“When monarchs unite, how happy their states”). Il successivo recitativo (“Whence could so much virtue spring”), nel quale Didone esprime tutta la sua ammirazione per Enea, riconoscendo in lui il valore di Anchise e il potere di seduzione di Venere, gradualmente si espande, coinvolgendo Belinda in un appassionato e lirico duetto. Belinda ammette che il racconto di Enea, cosĂŹ carico di sventure, avrebbe impietosito una pietra. Didone, anch’ella provata dall’esistenza, nutre compassione e simpatia per il dolore altrui. Il duetto culmina nel ritmo ternario e sincopato di danza ‘veloce e leggera’ affidata a Belinda, a una seconda donna e al coro, che incitano la regina ad abbandonarsi all’amore e a goderne tutta la dolcezza (“Fear no danger to ensue” ). Nel successivo recitativo, sempre molto espressivo, Belinda, vedendo arrivare Enea (“See, your royal guest appears”), spinge Didone a manifestare il suo sentimento; ma ella teme il destino avverso. Il coro intreccia un fitto contrappunto polifonico sul tema del dolore amoroso, che puĂČ essere lenito solo da chi l’ha provocato (“Cupid only throws the dart”). Enea, nel recitativo seguente, implora l’amore di Didone, se non per la sua salvezza, almeno per quella del’impero (“If not for mine, for empire’s sake”). La linea vocale di Belinda sulle parole “Pursue thy conquest, Love, her eyes Confess the flame her tongue denies”) Ăš seguita da un inno all’Amore intonato dal coro, che coinvolge la natura circostante e sfocia in un danza trionfale (“To the Hills and the vales, to the rocks and the mountains”), su ritmi puntati alla francese, alla fine della quale le indicazioni di scena prescrivono tuoni e lampi.

Atto secondo. In una caverna. Su un funereo e inquietante ritmo di marcia, si ode il preludio delle streghe; quindi la maga invoca le «malefiche sorelle» perchĂ© compiano il misfatto che «brucierĂ  tutta Cartagine»: la regina, prima del tramonto, dovrĂ  perdere gloria, vita e amore. Un elfo apparirĂ  a Enea con le sembianze di Mercurio, messaggero di Giove e gli ordinerĂ  di ripartire nella notte,con la flotta, alla ricerca degli italici lidi. Il coro intercala gli ordini della maga dando voce alle streghe, che prima si compiacciono del loro potere distruttivo e quindi si scatenano in due episodi in parossistico stile fugato, intessuto su grida evocatrici di pratiche di possessione diabolica; una strumentale danza delle Furie chiude la scena. In un boschetto. Un sereno e idilliaco ritornello strumentale introduce il canto di ammirazione di Belinda (“Thanks to these lonesome vales”), ripreso poi dal coro, rivolto al paesaggio nel quale si sta svolgendo la caccia, un luogo caro alla stessa Diana. Ma la voce della seconda donna (“Oft she visits this lone mountain”), evocando il drammatico episodio della morte di Atteone su un inquietante basso ostinato, introduce una nota di doloroso presagio, che si chiude su un altro ritornello strumentale. In un recitativo sempre piĂč concitato, Enea e Didone avvertono segnali oscuri nell’aria, finchĂ© Belinda, sostenuta dal coro, incita tutti ad abbandonare la campagna (“Haste, haste, to Town”), avviando un lungo e articolato episodio polifonico cui partecipa anche il coro in un crescendo di densitĂ  contrappuntistica, che sottolinea l’inarrestabile incedere della furia degli eventi, naturali e sovrannaturali. Nel recitativo successivo, che gradualmente si anima, lo spirito mandato dalla maga appare a Enea, che si sottomette al suo volere pur lamentando la propria sorte (“But ah, what language can I try”), poichĂ© «con piĂč gioia morirebbe» piuttosto che abbandonare Didone.

Atto terzo. Al preludio seguono un coro e una danza dei marinai, che esultano per l’imminente partenza (“Come away, fellow sailors”). La scena successiva ci mostra la gioia delle streghe e della maga, che si scatenano in un’orgia di soddisfazione per il dolore che hanno provocato e che continueranno ad alimentare perseguitando Enea con un’altra tempesta quando si troverĂ  in mare. Le due streghe cominciano con un veloce gioco polifonico (“Our plot has took”) che conduce a un momento di espansiva vocalitĂ  riservato alla maga (“Our next motion must be to storm her lover on the ocean”), per poi scatenarsi in una pagina corale (“Destruction’s our delight”) che, a sua volta, culmina nella strumentale danza delle streghe. Dopo che Didone ha confessato a Belinda la sua disperazione e la sua certezza di perdere Enea, il drammatico incontro con l’amato dĂ  vita a un duetto intenso e carico di affanno (“What shall lost Aeneas do?”). Enea cerca di giustificarsi incolpando il destino, ma la regina lo accusa di viltĂ  e ipocrisia; Enea giura allora che resterĂ , ma Didone lo scaccia, perchĂ© ormai si Ăš dimostrato sleale. Il coro commenta la loro incapacitĂ  di comprendersi (“Great minds against themselves conspire, and shun the cure they most desire” ). Didone, nonostante il suo sdegnoso rifiuto, non puĂČ piĂč vivere senza l’eroe troiano, e decide quindi di uccidersi. Chiede conforto tra le braccia di Belinda (“Thy hand, Belinda, darkness shades me”) ma, nel famoso lamento di addio (“When I am laid in earth”), implora l’amica affinchĂ© non si lasci tormentare dal ricordo dei suoi errori quando sarĂ  morta. Una commovente partecipazione accompagna, su un basso di ciaccona – la cui tensione Ăš accentuata da cromatismi e da un’asimmetrica configurazione in cinque misure –, l’invocazione (“Remember my”) di Didone. Nello struggente e insieme straniante coro conclusivo (“With drooping wings”) i Cupidi, apparsi tra le nuvole sopra la sua tomba, sono pregati di vegliare su di lei per sempre.

La concisa vicenda disegna, in un percorso psicologico ricco di sfumature e di grande forza drammaturgica, le caratteristiche formali e la densitĂ  narrativa di un’opera di grande coesione, attraversata da un unico, coerente gesto teatrale. Infatti, la personalitĂ  di Didone, con la sua grandezza d’animo, costituisce il fulcro espressivo di accadimenti che coinvolgono, in chiave simbolica, situazioni mitologiche e arcadiche. La profonditĂ  del suo sentimento finisce per estendersi all’intero lavoro, anzichĂ© concentrarsi in alcuni punti focali; le situazioni-chiave, infatti, come l’ammissione da parte di Didone del suo amore o il drammatico incontro con Enea prima del suicidio, sono risolti con asciuttezza, quasi con rapiditĂ . L’influenza del mondo magico e fiabesco inglese stilizza in chiave scenografica e drammaturgica la tensione tra i grandi archetipi affettivi e narrativi: il destino e l’amore, il maschile e il femminile, la ragion di stato e le ragioni del sentimento. L’espressivitĂ  lirica, che risente dell’influenza operistica italiana, in particolare di Cavalli, e di quella degli oratorĂź di Carissimi, si modella sulle esigenze drammaturgiche con estrema duttilitĂ : recitativi animati, che esaltano con ornamentazioni cariche di intenzioni armoniche il senso e il suono delle parole, confluiscono con naturalezza in arie concise, per poi sfociare in episodi corali e strumentali – le arie, in realtĂ , assomigliano piĂč spesso degli ariosi che si inseriscono nel duttile profilo discorsivo dell’opera. La grande flessibilitĂ  melodica di Purcell, del resto, sfrutta appieno l’irregolaritĂ  e la libertĂ  dei versi di Tate. La bellezza delle linee vocali, la plasticitĂ  fraseologica che piega la forma alle esigenze espressive, hanno reso quest’opera di Purcell molto amata ed eseguita nel Novecento. Pur mancando qui quella ricchezza di episodi descrittivi e autonomi che caratterizzano altri lavori di Purcell (in particolare le musiche di scena perThe TempesteOedipus, e le ‘opere con dialogo’Dioclesian,King Arthur,The Fairy Queen), l’intensitĂ  dell’opera ne fa un capolavoro di assoluta statura. Spesso il divenire emotivo Ăš sottolineato da arditezze e preziositĂ  armoniche comunque inserite in un piano tonale molto coerente, che investe l’intera opera e non manca di dar luogo ad allusioni emblematiche (ad esempio con l’impiego della tonalitĂ -base sol minore, considerata da Purcell la ‘tonalitĂ  della morte’, oppure quella di fa minore, connessa allo spirito magico). L’organico, costituito dai soli archi (oltre al basso continuo) e da un numero relativamente limitato di voci, non impedisce a Purcell di sfruttare al massimo le potenzialitĂ  strumentali e vocali, con grande sapienza di orchestratore ed estrema raffinatezza timbrica.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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