Mavravenne originariamente concepita nella primavera del 1921, al Savoy Hotel di Londra, come un’operina che fungesse da prologo alla ‘riesumazione’ da parte di Djagilev della
Bella addormentata nel boscodi Cajkovskij, a cui Stravinskij contribuì riorchestrando due numeri. Boris Kochno racconta di aver cercato con Stravinskij, tra i classici russi, una sceneggiatura con pochi personaggi, scegliendo infine il poema satirico di Puškin
La casetta di Kolomna. Stravinskij e Kochno elaborarono insieme, a Londra, l’ordine di successione dei numeri, dopo di che il compositore russo si ritirò ad Anglet, in attesa che si concludesse la stesura del libretto. Nelle parole del compositore, «
Mavraè cajkovskijana sia per il periodo sia per lo stile (...) ma la dedica a Cajkovskij era anche un gesto propagandistico. Volevo mostrare una Russia diversa ai miei colleghi non russi, specialmente a quelli francesi, i quali erano, a mio parere, saturi dell’orientalismo da ente turistico del gruppo dei Cinque».
Mavraè infatti dedicata «alla memoria di Puškin, Glinka e Cajkovskij» e raccoglie l’eredità della musica colta russa dell’Ottocento (mentre con
Les Noces,
Pribautkie
Renardaveva assunto come punto di partenza la musica popolare russa), anche se Stravinskij pare qui rivolgersi più a Glinka che a Cajkovskij – a quest’ultimo avrebbe dedicato, sei anni dopo, un ampio ed esplicito tributo personale con il balletto
Le baiser de la fée.
Mavrasegna un momento fondamentale e nevralgico – oltre che controverso – nell’evoluzione del linguaggio compositivo di Stravinskij, nel quale si delineano i tratti fondamentali della poetica ‘neoclassica’ (intesa soprattutto come ‘musica al quadrato’, nel suo trarre spunto da musiche preesistenti), pur concludendo virtualmente il suo periodo russo. Secondo Ansermet con
Mavraassistiamo alla messa in atto di un processo di ‘riduzione’ da parte di Stravinskij, che «nella povertà trova la salute» e dà l’avvio a una nuova fase in cui «la musica si spoglia di tutto ciò che l’aveva irrigidita». Con il suo balletto
PulcinellaStravinskij aveva del resto già individuato un percorso (fatto di ‘sguardi all’indietro’) che gli consentiva di adattare e trasformare sulla base delle proprie esigenze creative linguaggi e convenzioni stilistiche appartenenti alla storia della musica, da lui intesa come repertorio pressoché illimitato di possibilità , di risorse compositive suscettibili di essere utilizzate con disinvolta quanto appassionata voracità e attitudine ‘predatoria’. Così, in
Mavra, materiali sonori estremamente variegati, nei quali si fondono motivi russi, tzigani (seppure di maniera), ragtime e altro ancora, vengono calati in cornici individuabili come arie, duetti e quartetti, ovvero gli stereotipi dell’opera buffa italiana e del melodramma russo ottocentesco (inaugurato da Glinka – i cui modelli erano Rossini, Donizetti e Bellini – e proseguito da Cajkovskij), dei quali si mantiene, se pur parodiandola in una sorta di ironica e sarcastica rifrazione, l’impronta inequivocabilmente belcantistica, contrapposta a una trama orchestrale affatto atipica e dirompente, segnata da aspri impasti strumentali – Casella ha parlato di una «sonorità quasi sempre feroce e truce» – ai limiti del grottesco (grazie anche al nettissimo sbilanciamento timbrico dovuto alla preponderanza degli strumenti a fiato: 23 su 34). La vicenda narrata da Puškin ne
La casetta di Kolomnaè, in senso stretto, un semplice aneddoto, che si regge interamente sul
coup de théâtre; nell’opera viene suddivisa in tredici ‘numeri’, che si susseguono uno dopo l’altro senza soluzione di continuità , e quindi con la sostanziale abolizione dei recitativi.
Paraša è intenta a ricamare in un salotto borghese. L’ussaro Vasilij si affaccia alla finestra e Paraša intona una malinconica canzone, di carattere inequivocabilmente russo, in cui si lamenta della sua prolungata assenza. Vasilij le risponde con la ‘Canzone gitana dell’ussaro’, e il suo canto si intreccia con quello di Paraša, trasformandosi in un breve duetto d’amore fino a quando l’ussaro si allontana, lasciando l’innamorata terminare la sua aria. Fa il suo ingresso la madre di Paraša, che si lamenta per la mancanza di una domestica dopo la morte della vecchia cuoca Fyokla. La madre manda Paraša a cercare una nuova domestica e intanto si intrattiene in chiacchiere con una vicina. Paraša fa ritorno a casa assieme a una robusta ragazza che presenta come la nuova cuoca, mentre d’altri non si tratta se non dell’ussaro travestito, a cui è stato affibbiato il nome di Mavra; i quattro esprimono la loro contentezza e cantano le lodi della scomparsa Fyokla. Dopo che la vicina si è allontanata e la madre è salita per prepararsi a uscire, i due innamorati, finalmente soli, intonano il loro duetto; poi Paraša si allontana anch’ella, insieme alla madre. Rimasta sola in casa, Mavra ne approfitta per radersi, ma viene sorpresa nell’assai poco femminile incombenza dall’inopinato ritorno di Paraša e della madre, che perde i sensi, riprendendoli in tempo per vedere Mavra che, dopo aver cantato un’aria alquanto frettolosa, fugge dalla finestra, mentre la figlia grida: «Vasilij, Vasilij!».
La prima rappresentazione diMavrafu un insuccesso clamoroso e Stravinskij, che ne ebbe un’amarezza senza confronti nella sua pur lunga e contrastata carriera compositiva, si ostinò in più occasioni nel difendere le sue posizioni estetiche, dimostrando l’importanza che attribuiva a questo lavoro tutt’altro che marginale nell’ambito della sua produzione.Mavrarappresenta, analogamente al testo di Puškin, prescelto proprio in virtù delle sue caratteristiche affatto convenzionali e aneddotiche, un vero e proprio esercizio di stile, nel quale il compositore ritorna alla tradizione dopo averla accuratamente svuotata di significato, riducendola allo status di archetipo, dopo aver disseminato il testo musicale di scarti improvvisi e deviazioni, e dopo aver mandato in cortocircuito le norme stilistiche assunte a modello, in una serratissima e vertiginosa poetica dei contrasti. Stravinskij smonta e rimonta a modo suo il meccanismo dell’opera buffa individuandone l’elemento fondante, strutturale, nell’artificio retorico della parodia (che di volta in volta assume nella composizione accenti e soluzioni tecniche diverse). Il compositore oggettivizza la musica, straniandola dalla sua funzione drammaturgica, creando un contrasto irresistibile sia tra il materiale musicale e il soggetto trattato che, ad esempio, tra la linea vocale, fluida e gradevole, e l’accompagnamento, caratterizzato da un andamento meccanico ma nello stesso tempo ‘sghembo’ e intermittente; o ancora, tra le attese ritmiche e armoniche suggerite dalle melodie e le effettive soluzioni adottate nella scrittura orchestrale.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi