Dopo l’esordio poco fortunato di
Renaud, la carriera francese di Sacchini proseguì con esiti alterni (
Chimènenel 1783,
Dardanusnel 1784) e approdò a un successo incondizionato solo con
Oedipe à Colone. Si trattò tuttavia di un successo postumo, perché la tradizionale rappresentazione a corte non fu seguita, se non a lunghissima distanza, dall’allestimento pubblico all’Opéra, e quando ciò avvenne (1º febbraio 1787) il musicista era ormai morto da quattro mesi. Furono probabilmente i risentimenti anti-italiani, ancora vivi nell’ambiente teatrale parigino, a ritardare la messa in scena, sebbene l’eco dell’ultima
querellefosse quasi spenta. Alla fine l’opera fu comunque salutata come il capolavoro di Sacchini e rimase per decenni nel repertorio dell’Opéra, fino a raggiungere la cifra straordinaria di 583 recite tra il 1787 e il 1844.
Ispirato con molta libertà all’omonima tragedia di Sofocle, totalmente eccentrico rispetto alle consuetudini teatrali dellatragédie lyrique, il soggetto rinuncia quasi del tutto all’elemento amoroso per affrontare altri temi: il senso tragico del destino, la pietà filiale, la sacralità del potere regale, il rimorso e il perdono. Nel dramma tutto è in pratica già avvenuto: Edipo, vecchio e cieco, è stato esiliato dal figlio Polinice, divenuto re di Tebe; questi ha dovuto a sua volta subire l’esilio a opera del fratello, e ha trovato accoglienza presso il re ateniese Teseo. La trama è dunque povera di accadimenti: all’inizio si assiste alla celebrazione dell’alleanza tra Teseo e Polinice, al quale vengono offerti la mano di Erifile (figlia di Teseo) e l’aiuto militare contro il fratello usurpatore; al momento del giuramento davanti al tempio delle Eumenidi (a Colono, presso Atene) le dèe manifestano con tuoni e fulmini la loro collera contro Polinice, reo di avere oltraggiato la figura paterna. Nel secondo atto giungono a Colono Edipo e la figlia Antigone: consapevole del proprio destino di reietto, il vecchio rivive in preda al delirio il proprio passato (l’uccisione del padre, le nozze impure con la madre) e invoca su di sé la punizione delle Eumenidi (“Filles du Styx, terribles Euménides”); un gruppo di ateniesi si accanisce contro di lui, ma Teseo giunge a sedare il disordine e ad accogliere l’esule come ospite. Nel terzo atto Antigone manifesta, in presenza di Polinice, la propria devozione a Edipo (“Dieux! Ce n’est pas pour moi”); Polinice implora e ottiene il perdono paterno (terzetto: “Où suis-je? Mes enfants!”) e può così sposare Erifile, con il consenso delle placate divinità .
Fatta eccezione per le iniziali rivendicazioni politiche di Polinice, ciò che muove i personaggi è l’aspirazione alla pace, alla riconciliazione con gli dèi e con gli uomini; un’aspirazione messa in dubbio dai fantasmi del passato, ma alla fine destinata a trovare realizzazione nell’estremo placarsi delle passioni. Il contrasto tra la colpa e il perdono, tra l’orrore e la pietà , non dà però luogo a un impianto drammaturgico chiaroscurale, come in Gluck o nei suoi emuli (si pensi ad esempio alleDanaïdesdi Salieri, date a Parigi nel 1784). L’elemento oscuro della vicenda si traduce, è vero, in pagine musicali di grande accensione emotiva (la rievocazione dei crimini di Edipo nel secondo atto, la maledizione paterna su Polinice nel terzo), ma nel quadro generale finisce per stemperarsi in una luce calda di affetti. La morbidissima cantabilità sacchiniana scorre sempre uguale a se stessa e genera melodie semplici (spesso per gradi congiunti), ingentilite da appoggiature, messe al riparo da troppo forti tensioni armoniche (pur con toccanti deviazioni verso le tonalità minori). Rispetto alle precedenti opere francesi, risulta anzi più netta l’articolazione recitativo-aria; ampliato e meglio individuato il pezzo chiuso (sebbene inserito nella scena senza soluzione di continuità , secondo la prassi francese). Il senso religioso della pacificazione avvolge non solo le arie, ma anche gli splendidi brani corali o d’insieme, dove la morbidezza melodico-armonica e il frequente ricorso a una scrittura imitativa richiama alla mente molta musica sacra di fine Settecento, suggerendo persino (Carli Ballola) un accostamento al clima sovrumano e purificato dell’ultimo teatro di Mozart.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi