Il dramma
Toscadi Victorien Sardou, rappresentato a Parigi nel 1887, interessò dapprima Alberto Franchetti. Nondimeno nel 1896, Franchetti cedette il soggetto a Giacomo Puccini, che terminò il lavoro, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, nell’ottobre 1899. L’opera fu rappresentata al Costanzi di Roma il l4 gennaio 1900. Seguendo la trama di Sardou, la vicenda è legata ad avvenimenti storici. Nel 1798, dopo le vittorie di Napoleone Bonaparte nella prima campagna d’Italia, truppe francesi avevano occupato Roma, soppresso il potere temporale dei papi e proclamato la repubblica. Ma allontanatosi Napoleone per la spedizione in Egitto, l’esercito napoletano di Ferdinando IV di Borbone aveva scacciato da Roma il presidio francese, abbattuto la repubblica, processato i suoi esponenti.
Toscasi rifà a questi avvenimenti.
Atto primo. È il primo pomeriggio del 17 giugno 1800, nella chiesa di Sant'Andrea della Valle. Il pittore Mario Cavaradossi sta ritraendo in un quadro Maria Maddalena e le dà il volto della marchesa Attavanti, che ha visto più volte entrare in una cappella. Da questa cappella esce Cesare Angelotti, già console della repubblica romana soppressa dalle truppe napoletane e fratello della marchesa. Angelotti è evaso poco prima da Castel Sant’Angelo, dove il barone Vitellio Scarpia, capo della polizia, l’aveva imprigionato. Cavaradossi, di sentimenti liberali, gli offre rifugio nella propria villa. Sopraggiunge Tosca, cantante tanto famosa quanto avvenente e amante di Cavaradossi. Il quadro che ritrae l’Attavanti l’ingelosisce, ma, rassicurata da Cavaradossi, Tosca s’allontana. Cavaradossi e Angelotti lasciano la chiesa, nella quale entra poco dopo Scarpia, che ha iniziato le ricerche dell’evaso. Torna Tosca, per avvertire Cavaradossi che la sera dovrà eseguire a Palazzo Farnese una cantata per festeggiare la vittoria che l’esercito austriaco ha riportato a Marengo su Napoleone. Non trovando l’amante è ripresa dalla gelosia, che d’altronde Scarpia rinfocola. Da tempo desidera Tosca, e ordina al poliziotto Spoletta di pedinarla. Rimane quindi nella chiesa per assistere al Te Deum di ringraziamento per la sconfitta subita da Napoleone.
Atto secondo. Scarpia sta cenando in una sala di Palazzo Farnese, residenza romana dei Borbone di Napoli. Gli giunge la voce di Tosca che esegue la cantata celebrativa e decide di convocarla. Apprende poi da Spoletta che Angelotti è irreperibile, ma che certamente Cavaradossi conosce il suo nascondiglio, e quindi lo ha arrestato. Ha inizio l’interrogatorio: il pittore nega di conoscere il nascondiglio di Angelotti e impone il silenzio a Tosca, nel frattempo sopraggiunta. Scarpia lo sottopone a tortura e Tosca, disperata, rivela che Angelotti è nascosto in un pozzo del giardino della villa di Cavaradossi. Sopraggiunge il gendarme Sciarrone, e informa che a Marengo Napoleone non è stato sconfitto, ma ha vinto. L’esultante Cavaradossi è imprigionato. Rimasto solo con Tosca, Scarpia la ricatta: se gli si concederà , potrà salvare Cavaradossi e lasciare Roma con lui. È interrotto da Spoletta, il quale riferisce che Angelotti ha evitato la cattura uccidendosi. Tosca, sempre più sconvolta, chiede a Scarpia, in cambio di ciò che egli pretende, un salvacondotto per Cavaradossi e per sé. Scarpia acconsente, ma precisa che, non avendo egli la facoltà di graziare Cavaradossi, occorrerà simularne la fucilazione, con un plotone che sparerà a salve. Mentre compila il salvacondotto, Tosca impugna un coltello scorto sul tavolo al quale Scarpia stava cenando all’inizio dell’atto, e lo uccide.
Atto terzo. Sulla piattaforma di Castel Sant’Angelo. È l’alba, salutata dallo scampanio delle chiese di Roma e anche dal malinconico stornello d’un giovane pastore. Cavaradossi, in attesa di essere giustiziato, inizia una lettera di addio che un carceriere, in cambio di un anello, consegnerà a Tosca. Colto tuttavia dai ricordi dei giorni felici, si interrompe commosso. Ma Tosca giunge di lì a poco, mostra il salvacondotto all’amante, entrambi esultano. Tosca esorta Cavaradossi a fingersi colpito quando il plotone di esecuzione sparerà a salve: ma Scarpia la ha ingannata. La scarica dei soldati uccide Cavaradossi, e Tosca, disperata, sfugge a Sciarrone e a Spoletta, che hanno scoperto l’uccisione di Scarpia, e si getta nel Tevere che scorre sotto Castel Sant’Angelo, invocando la giustizia divina.
Malgrado l’ottimo esito della prima rappresentazione e di quelle che immediatamente seguirono (in due anni quarantatré, in teatri italiani e esteri),Toscadisorientò una parte della critica. Anche perché, si scrisse più tardi, Puccini era incorso in un verismo sfrenato o addirittura nelgrand-guignol, un genere teatrale che porta alle estreme conseguenze la formula naturalista-verista della cosiddettatranche de viee la sfruttava inscenando torture e delitti d’ogni genere. Ma ilgrand-guignolera nato a Parigi l’11 novembre del 1897, conLui!di Oscar Méténier e soltanto nel 1908 fu importato in Italia. Certamente talune scene del secondo atto sono violente; e anche truci. Truce è la scena della fucilazione di Cavaradossi, ma ancor più lo quella della uccisione di Scarpia per mano di Tosca, che poi si prolunga per le implorazioni di soccorso della vittima e per il macabro cerimoniale che vede Tosca nettarsi le mani, ravviarsi i capelli, togliere il salvacondotto dalle dita raggrinzite dell’ucciso e infine accendere due candele e deporre un crocifisso sul petto della sua vittima. Ma mentre questo avviene, l’Andante sostenuto della piena orchestra, lugubre e ossessivo, rende scenicamente eloquente il silenzio di Tosca. Molto più che nellaBohème, Puccini gioca, inTosca, sui motivi ricorrenti. Ne ha uno anche Angelotti, in orchestra e, sempre in orchestra, anche il sacrestano. È un motivo satirico quello del sacrestano (che è un essere pavido, untuoso, bigotto) correlato ritmicamente a un tic di cui il personaggio soffre (“E sempre lava†Allegretto grazioso in 6/8, atto primo). Quanto a Tosca, Cavaradossi e Scarpia, sono esseri in vario modo dominati dalla sensualità . Questo è evidente in momenti del loro canto divenuti famosi: l’Andante lento “Recondita armoniaâ€, l’Andante lento appassionato molto “E lucevan le stelle†di Cavaradossi; il Largo religioso sostenuto molto “Tre sbirri... Una carrozzaâ€, l’Andante lento “Ella verrà ... per amor del suo Mario†di Scarpia e, infine, l’Andante lento appassionato “Vissi d’arte†di Tosca. «Dolcissimo con grande sentimento», prescrive Puccini per quest’aria. È noto che in un primo tempo Puccini si mostrò restìo ad accordare un assolo alla protagonista nel momento culminante dello scontro con Scarpia. Cedette poi a quelle che si potrebbero definire come ragioni d’opportunità , a con molte raccomandazioni dipiano,pianissimo,con grande sentimento,dolcissimoall’orchestra. Qui va anche notato che, specialmente nella prima metà del nostro secolo, ma spesso anche attualmente, l’esecuzione della chiusa dell’aria da parte delle protagoniste non è conforme alle prescrizioni di Puccini che sono le seguenti: «Nell’ora del dolor perché» (ripresa di fiato) «perché Signor, ah» (fiato) «perché me ne rimuneri» (singhiozzando su «rimuneri» e con il mi bemolle sull’ultima ‘i’ di «rimuneri» da tenere a lungo, perché contrassegnato dal segno di corona); quindi ripresa di fiato e infine un breve «così?». Molte sono le raccomandazioni dipianoe dipianissimoall’orchestra. Inoltre Tosca, dopo che Scarpia ha cantato «Al tuo Mario per tuo voler/ non resta che un’ora di vita», affranta dal dolore deve lasciarsi cadere sul canapé, per rialzarsi alla frase «diedi fiori all’altare». Questo é un esempio delle minuziose indicazioni di cui Puccini costellò la partitura. Tosca ha un altro assolo, meno popolare di “Vissi d’arteâ€, che trova posto nel duetto con Cavaradossi del primo atto. Tosca ha notato che l’amante è distratto, sbrigativo (il suo pensiero è volto alla salvezza di Angelotti, che attende nella cappella degli Attavanti) e reagisce con una sorte di aria di seduzione, l’Allegro moderato “Non la sospiri la nostra casettaâ€. Questa pagina che, alludendo ai convegni notturni, evoca l’abitazione di Cavaradossi (che in Sardou è una villa ubicata nei pressi delle Terme di Caracalla), ha un sapore arcadico, ma ricordando i boschi i roveti, le arse erbe, «i franti sepolcreti», si rifà alla Roma di allora, nell’opera chiamata in causa da riferimenti a monumenti e luoghi ben individuati, reali, concreti, famosi: la Chiesa di Sant’Andrea della Valle nel primo atto, palazzo Farnese nel secondo, Castel Sant’Angelo nel terzo. Questa Roma, che al celebre storico Jules Michelet diede, nel 1830, l’impressione d’essere una città morta, non annoverava che centomila abitanti e corrispondeva all’attuale centro storico, delimitato dalle mure aureliane e per due terzi occupato da vigne, orti, giardini, parchi. L’Aventino, il Palatino, il Celio, buona parte del Quirinale e del Viminale, l’Esquilino, il Pincio erano campagna che ospitava qualche villa patrizia e i ruderi di acquedotti dell’epoca imperiale o delle prime chiese cristiane. La vita della città , tolti alcuni quartieri, era quella di un centro rurale, attraversato di continuo da greggi di pecore e di capre guidati da pastori in ciocie. Piazza Barberini era un luogo di sosta per i carri a buoi e la fontana del Tritone serviva per l’abbeverata. Castel Sant’Angelo, nel quale si svolge il terzo atto, era estrema periferia. Questo fosco e colossale monumento dellla Roma imperiale, legato anche a lugubri vicende della Roma medioevale e rinascimentale, incombe, nei primi incerti colori dell’alba, su una piana solitaria, corripondente all’attuale quartiere Prati (in origine Prati di Castello). Ad apertura d’atto un brevissimo motivo, affidato a quattro corni, sembra voler evocare, con suoni tetri e corruschi, la sua fama di luogo di orrori. Ma questi suoni diverranno, di lì a non molto, un motivo d’amore, l’ultima espansione passionale di Mario Cavaradossi e di Floria Tosca. L’Andantino sostenuto “O dolci maniâ€, l’Andante amoroso “Amaro sol per te m’era il morire†e l’Andante sostenuto “Trionfal di nuova speme†sono appunto l’estremo, inconsapevole addio, seguito dal lugubre Largo con gravità , che scandisce la cosiddetta ‘marcia al patibolo’ del plotone d’esecuzione sotto i cui colpi Cavaradossi cadrà . Questa scena finale è il tributo che Puccini paga al verismo, ma l’effetto teatrale, attentamente preparato e dosato, è di efficacia innegabile.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi