Il successo internazionale di
Le Roi de Lahorevalse a Massenet la commissione di un nuovo
grand-opérada parte degli editori Georges Hartmann e Giulio Ricordi. L’opera doveva essere composta in due versioni, francese e italiana, e rappresentata in ‘prima’ quasi contemporaneamente a Parigi e a Milano. Lo stesso Hartmann suggerì probabilmente il soggetto e partecipò alla stesura del libretto insieme a Paul Milliet, un caro amico di Massenet, mentre per realizzare la versione italiana venne chiamato Angelo Zanardini. La scelta del tema biblico rientrava pienamente nel gusto decadente dell’ultima parte dell’Ottocento, a conferma di quella che Alberto Arbasino ha spiritosamente definito una vera e propria «sindrome di Salomé»: basti citare la
pièceincompiuta di Stéphane Mallarmé
Hérodiade(alcune scene pubblicate nel 1871), il racconto omonimo di Gustave Flaubert nei
Trois contes(1877), i quadri di Gustave Moreau (1878), il romanzo
A reboursdi Joris-Karl Huysmans (1884), la
Salomedi Oscar Wilde (1891) illustrata da Aubrey Beardsley (1894), in seguito utilizzata da Strauss per l’opera omonima. Delle diverse incarnazioni della lussuriosa principessa, Massenet scelse quella di Flaubert, che d’altra parte aveva, come Mallarmé, incentrato il suo racconto sulla madre Hérodiade. Il 29 novembre 1877 Massenet inviò a Ricordi una copia dei
Trois contesdi Flaubert, e a dicembre si disse ansioso di ricevere la sceneggiatura; un contratto venne steso nel successivo viaggio in Italia per le rappresentazioni del
Roi de Lahore, e il 26 novembre 1878 Massenet annunciò a Ricordi di avere cominciato a lavorare all’opera, che lo appassionava sempre più: «Lavoro con fervore a un’opera in cui sto mettendo la mia vita, la mia fede, il mio cuore e il mio sangue. Se l’opera cade, non potrò alzarmi da un colpo duro e mortale», scrisse il 7 luglio 1879. Il 27 dicembre l’opera è compiuta e il compositore inizia il lavoro di orchestrazione, terminato nel settembre 1880. Intanto, però, sorgono problemi per la messa in scena: spaventato dalla scabrosità del libretto, il direttore dell’Opéra, Auguste Vaucorbeil, si tira indietro, e anche Ricordi tentenna, probabilmente anche per l’insuccesso dell’oratorio
La Vierge. Stando alle memorie di Massenet, fu un incontro fortuito con il direttore del teatro di Bruxelles a risollevare le sorti di
Hérodiade; in realtà anche Hartmann si mosse per far rappresentare un’opera che stava diventando ‘maledetta’. La ‘prima’ brussellese (presentata in una prima versione in tre atti, mentre quella del 1884 fu la ‘prima’ in quattro) fu un successo enorme – oggi si direbbe ‘un evento’ – cui presenziò la corte belga al gran completo, con buona parte dell’
intellighenziafrancese. Incoraggiato, Ricordi ritornò sul progetto; ma la ‘prima’ italiana, avvenuta alla Scala il 23 febbraio 1882, ebbe solo una tiepida riuscita, forse a causa del
castinadatto. L’argomento dell’opera, l’insana passione di Erode per la figliastra Salomé e l’amore di costei per il profeta Giovanni, si prestava all’acuta sensibilità di Massenet per i temi amorosi, portandolo a trascurare gli aspetti più tipicamente da
grand-opéra. Rispetto al soggetto biblico vennero introdotte delle modifiche: anzitutto Hérodiade scopre che Salomé è la figlia da lei abbandonata solo nel terzo atto, e Salomé e Erode lo accertano solo nell’ultima scena. Hérodiade, quindi, dapprima è torturata dalla gelosia per la rivale; poi, nell’ultima scena, è straziata tra l’amore di madre e l’odio verso il profeta. Salomé (come del resto sarà in Strauss) non è una torbida seduttrice ma una trepida adolescente, che scopre per la prima volta l’amore, ed è inoltre attratta dalla fede additatale da Jean; dopo la morte del Battista si getta su Hérodiade per assassinarla ma, scopertane l’identità , si pugnala. Il cambiamento più importante tocca al personaggio di Giovanni: egli è turbato profondamente dal fascino della fanciulla, e tenta di rivestire di misticismo una passione sensuale («Aime-moi donc alors, mais comme on aime en songe»); solo dinanzi alla morte confesserà il suo amore, nell’appassionato duetto finale (“Que je puis respirerâ€). È stato notato che alcuni tratti della sua figura richiamano quella di Cristo, cosa che fu sicuramente motivo di scandalo: viene indicato come Messia, condannato alla crocifissione, e nella preghiera finale (“Adieu donc, vains objetsâ€) si rivolge a Dio come suo figlio. Infine, manca nell’opera ogni accenno alla famosa danza dei sette veli, che costituirà invece il
cloudell’opera di Strauss; per non infrangere le consuetudini del genere, che dava largo spazio al balletto, Massenet compose due episodi danzati per il secondo e il quarto atto, mentre nella scena della piazza di Gerusalemme (secondo atto) pagò il suo tributo al gusto per il
tableau.
Hérodiadepuò essere considerato il primo lavoro della piena maturità di Massenet, che qui dimostra una totale e raffinata padronanza dell’orchestrazione e un uso sapiente dei motivi conduttori. È inoltre la prima opera in cui egli svolge compiutamente il suo tema ‘principe’, quello dell’ossessione erotica. Da questo punto di vista il personaggio più importante è Erode, cosa di cui era consapevole lo stesso compositore: la sua aria del secondo atto, l’Andante in 6/8 “Vision fugitiveâ€, mostra per la prima volta la tipica melodia massenetiana, che procede a piccoli intervalli intorno alle stesse note, con quelle volute e quelle curve che ricordano le inanellate pettinature femminili ritratte in tanta pittura di quel periodo.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi