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Amore dei tre re, L’
Poema tragico in tre atti di Sem Benelli, dal dramma omonimo
Musica di Italo Montemezzi 1875-1952
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 10 aprile 1913

Personaggi
Vocalità
Archibaldo
Basso
Avito
Tenore
Fiora
Soprano
Flaminio
Tenore
Manfredo
Baritono
un giovanetto
Tenore
una giovanetta
Soprano
una vecchia
Mezzosoprano
Note
Montemezzi iniziò la composizione nel 1910, poco dopo avere assistito alla prima rappresentazione del dramma di Benelli. Questi, che a partire dal successo dellaCena delle beffedell’anno precedente si era rivelato come uno dei più interessanti drammaturghi del momento, approntò in breve un libretto al quale il compositore non impose tagli o cambiamenti di rilievo.

«Nel Medio Evo, in un remoto castello d’Italia quarant’anni dopo un’invasione barbarica». Fiora, sposa suo malgrado di Manfredo, ama ricambiata Avito, ma Archibaldo, il suocero, sospetta della sua infedeltà. Un giorno, al termine di un ennesimo incontro tra i due amanti, Archibaldo sorprende la fanciulla e la uccide. Più tardi, mentre la salma di Fiora giace nella cripta del castello, Avito, disperato, la bacia e morendo, poiché Archibaldo ha fatto mettere del veleno sulle labbra del cadavere, grida in faccia a Manfredo il suo amore per la fanciulla. Manfredo, sconvolto e disperatamente innamorato, bacia anch’egli Fiora e muore tra le braccia del padre.

L’amore dei tre reè il capolavoro di Montemezzi, musicista di profonda cultura musicale, e si segnalò al suo apparire come uno dei più felici esempi di sintesi tra l’esperienza operistica e sinfonica d’oltralpe, in specie tedesca, e la tradizione italiana. Tuttavia, rispetto a quanto si era per lo più tentato sino ad allora in Italia, Montemezzi non si limitò ad adottare in modo generico tecniche e stilemi germanici, ma mirò a un linguaggio essenzialmente ‘tedesco’, entro cui potessero realizzarsi anche le aspettative del pubblico italiano. Nelle sue opere però l’impiego della melodia non si traduce mai in pezzi chiusi paragonabili alle romanze operistiche tanto in auge in quel tempo. Ciò spiega anche perché, paradossalmente, la sua musica venne sempre considerata meno ‘italiana’ di quella dei compositori della cosiddetta ‘giovane scuola’. L’unico limite dell’opera è forse nel clima fosco della vicenda, alla quale Benelli ha conferito una tinta che, nella sua cupa drammaticità, può risultare monotona. Il linguaggio del libretto, inoltre, di gusto estetizzante e tipico di quella maniera dannunziana allora assai in voga, non giova ai personaggi, di cui non sempre riesce a mettere in luce le motivazioni intime e più autentiche. Ad esempio lo strazio di Fiora, sposata a un uomo che non ama, e il suo disperato amore per Avito, appaiono sentimenti ostentati più che sinceramente provati. Tutto ciò costituisce il principale limite a uno stabile inserimento di quest’opera di primo piano nel repertorio del Novecento italiano. Alla prima e fortunata rappresentazione alla Scala, diretta da Serafin con De Angelis (Archibaldo) e Galeffi (Manfredo), seguì il debutto americano al Metropolitan di New York, il 2 gennaio 1914, sotto la direzione di Toscanini e con la grande Lucrezia Bori nella parte di Fiora, che segnò l’affermazione duratura dell’opera negli Stati Uniti (dove fu cantata da Claudia Muzio, Rosa Ponselle e da Mary Garden che, negli anni Venti, ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia). In Italia, l’opera rimase in cartellone fino al secondo dopoguerra, grazie ancora una volta a Toscanini e anche a De Sabata, che la diresse alla Scala nel ‘32 e nel ‘53.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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