Il soggetto, tratto da un’omonima commedia di Giraud (Roma 1807) e da allora più volte musicato, segna il fortunato esordio della collaborazione del compositore con Jacopo Ferretti. Grazie alla squisita fattura del libretto, e anche a interpreti di prim’ordine (soprattutto Maria Ester Mombelli e Antonio Tamburini nei panni di Gilda e di Don Giulio),
L’ajofu il primo vero successo del compositore.
Vi si narra della contesa tra Don Giulio, uomo di saldissimi principi morali, e Don Gregorio, precettore dei due figli Enrico e Pippetto, che, al contrario, è consapevole dei pericoli insiti in un’educazione troppo restrittiva. Quando Don Giulio apprende che Enrico ha sposato a sua insaputa Gilda, una fanciulla che gli ha dato un figlio, si vede crollare il mondo addosso e reagisce con durezza; solo alla fine, attraverso la sapiente mediazione di Gregorio, il marchese, commosso anche dall’assennata e dignitosa reazione di Gilda, si riconcilia con la famiglia.
Taluni caratteri, principalmente quelli di Don Gregorio e di Gilda, si affrancano dal consueto repertorio di espressioni e di gesti ‘buffi’ per approdare a un tono patetico non di maniera. Nel duetto tra questi due personaggi (“D’un’infelice e misera”), inoltre, Donizetti sottolinea con un’inedita varietà di soluzioni armoniche e melodiche il dolore della protagonista che, pur simulato, deve apparire sincero. Tutto ciò fa di quest’opera forse l’esito più significativo di Donizetti nel genere buffo prima dell’Elisir d’amore. Per Napoli, il musicista scrisse anche una versione con dialoghi parlati e con la parte del buffo in dialetto che, ribattezzataDon Gregorio, fu rappresentata, come ‘farsa in due atti’, l’11 giugno 1826 al Teatro Nuovo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi