1942. Un aviatore russo abbattuto dai tedeschi precipita ferito nei pressi di un kolchoz: dopo le prime cure prestate dai kolchoziani, viene trasferito in un ospedale militare dove gli vengono amputate entrambe le gambe. Un compagno di convalescenza riesce a ridargli il coraggio di vivere; gli mostra un ritaglio di giornale che riguarda un eroe della prima guerra mondiale, l’aviatore Karpovic, che continuò a volare anche dopo aver perduto una gamba in un incidente. Aleksej dapprima è scosso, perché la sua mutilazione è ben più grave, ma, sentendosi ricordare dal compagno la sua vera essenza di uomo sovietico, ritrova coraggio e gioia di vivere. L’opera si conclude con il ritorno di Aleksej da un volo, dopo aver ricuperato con forza d’animo e volontà le sua capacità di aviatore, salutato dall’amata Olga, in un clima di felicità per l’ormai vicina fine della guerra.
Il desiderio di affrontare un tema schiettamente sovietico, nella speranza di riconquistare il favore delle autorità , spinse il compositore ad affrontare questo soggetto, tratto da un fortunatissimo romanzo del dopoguerra e basato sulla figura storica dell’aviatore Aleksej Meres’jov. Intanto, nel 1948, ancor prima di aver concluso completamente l’opera, Prokof’ev fu colpito da una severa accusa di formalismo. Nell’autocritica che seguì, egli indicò nella Storia di un vero uomo la prova della sua aderenza ai dettami del realismo socialista, dichiarando di aver impiegato trii, duetti, cori polifonici, canti popolari russi, tratti melodici chiari e linguaggio armonico semplice. Non tutti i canti popolari citati tuttavia sono autentici, né le melodie soverchiano del tutto la prosa musicale tipica delle prime opere di Prokof’ev. Il motivo che ricorre come un motto in tutta l’opera, ad esempio, è il Canto della patria, un inno propagandistico che Prokof’ev aveva composto nel 1939. Caratteristico è l’uso che ne fa il compositore: lo contrappone al parlato di Aleksej fino al momento in cui l’aviatore ribalta la disperazione per la grave mutilazione subita con eroica determinazione ad accettare la propria condizione, e a questo punto lo fa intonare dalla voce del protagonista, che si è identificato in tutto e per tutto con la patria sovietica. Di particolare interesse è l’impiego, in ambito operistico, di tecniche cinematografiche quali flashback e montaggio, come accade, ad esempio, quando Olga compare per cantare un’aria, mentre il protagonista guarda una sua fotografia (II,1); ella sparisce non appena il pensiero rivoltole dall’amato si è dileguato. A dispetto delle intenzioni dell’autore, l’opera fu proibita dopo la versione concertistica di Leningrado (1948) e attaccata dalla stampa, come esempio lampante dell’estraneità dell’autore dalla vita reale e fu riportata sulle scene con moltissimi tagli e ridotta a tre atti nel 1960.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi