Scritta per il teatro privato della regina Maria Casimira di Polonia, è l’unica opera seria di Domenico Scarlatti a esserci giunta in forma sostanzialmente integra (mancano solo pochi fogli della partitura al termine del secondo atto). La musica appare decisamente superiore al libretto, che all’impaccio nella fattura di alcuni versi assomma una serie di gravi difetti, quali l’assenza di una precisa strategia nella collocazione delle arie e nelle entrate dei personaggi, l’affastellamento di assurde e quasi grottesche complicazioni romanzesche, nonché l’eccesso di personaggi
en travesti. Inevitabilmente impietoso per il dramma di Capece risulta il confronto con quel fortunato
Achille in Sciroche Metastasio, con il suo ben diverso talento drammaturgico, avrebbe scritto nel 1736, sullo stesso soggetto, peraltro popolare nell’opera come nelle arti figurative del Seicento e del secolo successivo.
Achille, in abiti femminili sotto il finto nome di Arminda, è stato nascosto dalla madre Tetide sull’isola di Sciro, per evitargli il destino infausto della guerra di Troia. Qui si è innamorato della principessa Deidamia, che però a sua volta è invaghita di Filarte; in realtà una donna, Antiope, amante abbandonata del padre di Deidamia, il re Licomede. Quest’ultimo, dal canto suo, si sente attratto da Achille/Arminda. Su questo intricato nodo sentimentale si abbatte l’arrivo di Ulisse; questi, inviato da Agamennone a chiedere la mano di Deidamia per Oreste, riesce, mostrando ad Achille una spada, a ridestare lo «spirto guerrier» dell’eroe e a convincerlo a partire per Troia. Dopo numerosi equivoci, l’opera termina con la spettacolare apparizione (l’ingegnere teatrale era nientemeno che Filippo Juvarra) della grotta di Tetide: Deidamia e Achille, Antiope e Licomede si uniranno felicemente in matrimonio.
Scarlatti sfrutta con molta abilità le forze a propria disposizione. Anzitutto nei pezzi posti in apertura e chiusura degli atti, come il grazioso terzetto “Amando, tacendo” (in cui ogni voce è raddoppiata da uno strumento: l’oboe, il flauto, il pizzicato dei violini) o il delicato e assieme intenso duetto “Lasciami piangere” (Deidamia, Achille), alla vigilia della partenza dell’eroe per Troia. Tra le arie, quasi tutte con orchestra e spesso con strumenti concertanti, spiccano quelle di Achille, dal piglio tragico o patetico, alcune di Antiope e Licomede, nonché, per la protagonista Tetide, la prima pagina dell’opera, “Vi lascio tranquille” e “Non è il ciel, non son le stelle”, dall’elaborata parte concertante per violino.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi