Dallapiccola compose la partitura del
Prigionierotra il gennaio 1944 e il maggio 1948: tuttavia, secondo una prassi per lui usuale, la realizzazione musicale fu preceduta da una lunga fase di studio del soggetto. I primi progetti per un lavoro ambientato nel mondo delle prigioni discendono infatti dall’impressione profonda suscitata in lui dalla lettura, nel 1939, del racconto
La torture par l’esperance, tratto dai
Nouveaux contes cruelsdi Villiers de l’Isle-Adam; impressione che si sommava a quella suscitata dagli eventi politici europei di quegli anni e, in particolare, dalla proclamazione delle leggi razziali, alle quali il musicista oppose innanzitutto la serie dei
Canti di prigionia. Più tardi egli volle espressamente che il ciclo di composizioni ispirate al tema della prigionia (i
Canti di prigionia, tre preghiere di altrettanti reclusi illustri, e l’opera
Il prigioniero, appunto), suscitando interrogativi allora più che mai attuali sul valore della libertà dell’uomo, risultassero un partecipato inno in sua difesa, connotato in modo il più possibile universale (e per questo non esitò a trasformare il rabbino Asher Abarbanel, protagonista del racconto di Villiers, in una vittima anonima della tirannia e della persecuzione). Il libretto del
Prigionierosi presenta come sintesi originale di numerose fonti, variamente utilizzate nella struttura definitiva dell’opera in un prologo e un atto unico, costituito da quattro scene e due intermezzi corali. In esso è delineata l’ultima tortura inflitta a un prigioniero, condannato a morte dall’Inquisizione di Spagna e giustiziato dopo essere stato indotto a sperare nella riacquisizione della libertà e dopo averne assaporato l’illusione. È la trama del racconto di Villiers, che Dallapiccola utilizza come fonte primaria e sulla quale innesta altre sollecitazioni letterarie: quella de
La rose de l’infantedi Victor Hugo per la descrizione della figura proterva di Filippo II, che sta al centro del prologo; quella della
Leggenda d’Ulenspiegeldi Charles de Coster per buona parte della scena seconda, in cui è rievocata l’epopea fiamminga dei Pezzenti; alcuni versetti salmodici per i due intermezzi; l’
Implorazionetratta da una raccolta di poesie per l’infanzia di Lisa Pevarello per la preghiera del protagonista «Signore, aiutami a camminare». Né mancano situazioni drammatiche dettate da alcune esperienze personali, riconducibili agli eventi del periodo bellico, tra le quali perfino gli echi dei bollettini di guerra trasmessi da Londra per i resoconti dei combattimenti dei pezzenti contro l’esercito di Filippo II.
Quattro sono i personaggi principali dell’opera, affidati a tre parti vocali: la madre (figura d’invenzione del musicista, la cui maternità tragica ha un antecendente diretto in quella della madre dellaFavola del figlio cambiatodi Gian Francesco Malipiero), il prigioniero, il carceriere e il grande Inquisitore (questi ultimi affidati a un solo interprete). A questi si affiancano le parti secondarie dei due sacerdoti e la parte muta di fra Redemptor (ossia del frate che si aggira per i corridoi della prigione con terribili arnesi di tortura). Ai primi spetta costituire l’ossatura drammatica dell’opera, mentre le parti secondarie risultano una proiezione del carceriere e del grande Inquisitore, il volto più spietato dell’Inquisizione. Dallapiccola orienta il montaggio librettistico delle fonti letterarie verso la definizione di una vera azione drammatica. La sequenza coerente delle scene, il divenire dell’azione motivata nel dialogo, l’alternanza di dialoghi e pezzi chiusi nella prima parte, fanno pensare a una struttura in linea con l’impostazione tradizionale dell’opera italiana. Nel prologo la madre rievoca un sogno terribile, nel quale Filippo II gli si era presentato con le fattezze della morte. La vicende dell’atto unico si svolge nella seconda metà del XVI secolo, a Saragozza, in una cella del palazzo dell’Inquisizione di Spagna. Nella prima scena, la madre incontra per l’ultima volta il figlio prigioniero, e assiste al racconto del sollievo dalle torture, ricevuto dall’appellativo del carceriere, «fratello». Nella seconda scena il carceriere riferisce al prigioniero del successo dell’insurrezione dei pezzenti nelle Fiandre, infondendogli speranze di libertà . Nella terza scena il prigioniero, rimasto solo e con la porta della cella aperta, tenta la via della fuga attraverso i lunghissimi sotterranei dell’Official, dove si imbatte in Fra Redemptor e nei sacerdoti. Allorché ha scoperto l’uscita e crede di essere libero (quarta scena), trova il grande Inquisitore che lo attende per condurlo al rogo. Il piano drammatico perseguito da Dallapiccola si incrina tuttavia nelle ultime due scene, allorché il fallito tentativo di riconquista della libertà da parte del prigioniero provoca l’annullamento del dialogo, l’incomunicabilità tra vittima e carnefice, in seguito alla definitiva presa di coscienza dell’ultima, tremenda tortura. E dal momento che l’azione non risolve, non sfocia nel’affermazione di nessuna tesi, essa stessa diventa paradossale emblema del problema della libertà e della sua crisi nel mondo moderno. Il significato dell’opera si risolve così nell’antitesi diretta delle due parole chiave del dramma del prigioniero: «fratello», la parola dell’inganno e della prigionia nella speranza che il carceriere rivolge al protagonista, e «libertà », la parola dell’illusione e dell’interrogativo senza risposta sul quale emblematicamente essa si chiude. A queste due parole chiave rimandano alcuni dei materiali musicali fondamentali dell’opera (che Dallapiccola, ormai orientato verso una piena adozione della tecnica dodecafonica, distingue in serie dodecafoniche complete e «combinazioni dodecafoniche variate»); la «serie della speranza», cantata dal prigioniero nel racconto alla madre e la «serie della libertà » che, insieme alla «serie della preghiera» sulle parole «Signore aiutami a camminare», hanno funzione di motivi conduttori; e il tema «fratello», la combinazioni dodecafonica che nello stridore della sua stessa struttura compendia il problema centrale dell’opera. È dalle relazioni che il musicista instaura tra questi materiali «neutri e nello stesso tempo polivalenti», che la composizione delPrigionierosi configura come un lavoro di frammentazione e combinazione dei motivi seriali, orientato a creare una catena continua di associazioni di tipo simbolico. Agli occhi di Dallapiccola, infatti, la dodecafonia non si configurava come un codice e un sistema, ma come un’esperienza espressiva puramente interiore, con la quale egli non esita a fondere criteri tonali, stile mottettistico e serialità , in una musica che si fa sempre più concentrata ed essenziale, memore delle scoperte di Anton Webern.
I punti cruciali delPrigionierosono però sostenuti da momenti musicali puramente lirici, piuttosto che dall’intreccio drammatico e simbolico dei motivi, come la Ballata (“Vedo, lo riconoscoâ€), che si trova al centro del prologo, e l’aria in tre strofe (“Sull’Oceano sulla Scheldaâ€) della seconda scena. Quest’ultimo brano, in particolare, è il culmine dell’opera e il punto di volta dei sette episodi di cui essa si compone. Una funzione chiave nell’organizzazione musicale è svolta anche da forme chiuse di tipo strumentale come i tre ricercari (per i quali Dallapiccola adotta un tipo di contrappunto dodecafonico che, in teatro, ha un precedente soltanto nella tripla fuga delWozzeckdi Berg) e dalle interpolazioni non drammatiche, che si sovrappongono all’azione come intervento epico dell’autore (gli intermezzi corali e il coro da camera dell’ultima scena). Ai tre ricercari spetta di commentare i passi faticosi del prigioniero verso l’uscita della prigione e ricordare le ragioni che lo conducono innanzi: la fiducia nell’aiuto divino (nel primosuper«Signore aiutami a camminare», ossia sul motivo della preghiera) e la speranza datagli dal carceriere (nei due ricercari successivisuper«fratello» esuper«roelandt», la mitica campana di Gand che suonò il giorno della vittoria dei pezzenti). Per tutte queste ragioni, nelPrigionierola musica instaura col testo un rapporto intermittente: ora di piena adesione (ad esempio nella determinazione dei vari motivi drammatici e musicali), ora di totale dissociazione, là dove è la musica a ricordarci il carattere illusorio delle speranze del prigioniero e a far scendere una cappa di pessimismo senza vie di uscita sulle sue azioni. E per questo ilPrigionieroappartiene a pieno titolo a quella categoria di lavori teatrali novecenteschi che perseguono la dissociazione di musica e dramma ai fini di una mediazione conoscitiva, qui sperimentata in un teatro fortemente tragico e personalmente sofferto, altamente aggiornato sul piano del linguaggio musicale, il cui significato è distillato da una fittissima trama simbolica.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi