Sette mesi dopo
Gianni di CalaisDonizetti si ripresentò al Teatro del Fondo con una farsa per la stagione del carnevale 1829. Vi erano impegnati i coniugi Giovan Battista e Adelaide Comelli-Rubini, già applauditi nel
Gianni, e assieme ad essi il formidabile ‘basso cantante’ – per noi oggi baritono – Luigi Lablache, ottimo attore oltre che dotato di una duttile voce. Il titolo della farsa deriva dalla collocazione stagionale ed è nota anche come
Il nuovo Puorceaugnacper l’esplicito riferimento alla commedia di Molière. In un paese vicino a Parigi, Nina e Teodoro sospirano il loro amore con un duettino affettuoso e scherzosamente carezzevole (“E fia vero amato beneâ€). Il loro affetto è contrastato dal padre della ragazza, che la ha promessa a Ernesto. Per aiutarli i coniugi Sigismondo e Camilla architettano un piano come quello del
Pourceaugnacdi Molière. È giovedì grasso, giorno di scherzi, e con le burle faranno «perdere il cervello» a Ernesto: Sigismondo si travestirà da Monsieur Piquet, avvocato, e abbraccerà Ernesto come un suo vecchio amico. La scena si realizza in un frizzante concertato a cinque, molto scorrevole e assai brioso. Appena giunto, Ernesto riesce tuttavia a conoscere dall’ingenua cameriera Serafina il piano ordito ai suoi danni: decide di stare al gioco e di ritorcerlo contro gli autori. Il suo esordio brillante e umoristico (“Qui si fermi il passo incertoâ€) ne svela lo spirito e il carattere tutt’altro che sciocco, come era in Molière. Camilla, vestita da Madame Piquet, rimprovera il marito di tradirla; allora Ernesto la consola espansivamente e provoca una reale gelosia di Sigismondo: è un amabile terzetto (“A te, all’amico istessoâ€), caratterizzato da uno smaliziato crescendo di vivacità . Il marito è insospettito ulteriormente da un biglietto lasciato scivolare da Ernesto nella tasca del vecchio servo Cola: Sigismondo scopre il messaggio destinato alla moglie e prorompe in un’adirata aria in dialetto napoletano (“Cola, Co’, non fà zi’meoâ€), una tarantella spassosa ed elegantemente parodistica, ricca di umori popolari. All’arrivo del colonnello, Ernesto riconcilia Sigismondo con la consorte e approva il matrimonio di Nina e Teodoro. Anche il lieto finale si segnala per scioltezza di scrittura: Nina, Sigismondo e Ernesto hanno un piccolo palcoscenico personale intercalato da un festoso ritornello (“Viva viva il carnevaleâ€). La parte di Ernesto, realizzata per Rubini, è quella di un tenore ‘buffo’ e costituì la maggiore novità per le consuetudini musicali del genere.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi