Ecco un bell’esempio di opera veneziana del tardo Seicento, momento per il quale più diffusamente la critica s’è piccata d’arricciare il naso. Abbandonati i fasti di Cavalli e Cesti (il cui virtuosismo vocale non si misurava sulla quantità di note) e non ancora raggiunte le cosiddette ‘restaurazioni’ del secolo successivo (dove per esempio la comicità viene relegata a un genere proprio, il librettista pretende dignità di letterato e il compositore impara nuove tecniche soprattutto guardando al teatro), in questa fine di secolo non sembra essere rimasto spazio per concedere adeguati tributi all’opera in musica. Eppure
Messalina, come infiniti altri lavori coevi, pur adeguandosi alle esigenze di un mercato ormai consolidato e quindi poco propenso a ricercatezze, spicca per l’abilità con cui semina spunti creativi in una griglia prevista e ‘aggiustata’ sulle esigenze del pubblico. Si prenda il libretto: scritto da un poco noto Francesco Maria Piccioli (eppure autore singolare, fecondo e altre volte collaboratore di Pallavicino) racconta un’eroina in tutto negativa, bugiarda, fedifraga e dissoluta, Messalina appunto (nulla in confronto a quella vera), che non solo non si pente dei suoi danni (né viene punita) ma esibisce in fine d’opera una filosofia da spirito libero (con espliciti riferimenti a Lucrezio) secondo cui per principio implicito il Male governa sulla Natura (qui rappresentata dai quattro elementi in lotta fra loro e sobillati dalla Discordia). L’intervento della Pace è solo una concessione alle anime semplici e pie, per ristabilire una moralità almeno di superficie. Ma le suggestioni dissacratorie non mancano: a cominciare dalla scena d’inizio nelle stanze di Messalina, trasformate letteralmente in bordello, in cui consuma i suoi tradimenti all’insaputa del marito Claudio, dapprima con Caio e poi con Alindo (in realtà Erginda travestita e in costante imbarazzo); o quando l’identità d’Erginda è svelata in una furiosa contesa dove «nell’atto di sottrarsi restando scoperto il seno si palesa per donna» (soluzione scenica che a ben guardare non recede da certa ruffianeria dell’apparenza tutta tesa a sedurre il pubblico). «Tutto il mal d’hoggidì lo causa Amore» sintetizza Limeno (III,19). E infatti Claudio, tradito da Messalina, tenterà di consolarsi con Floralba, moglie di Tullio. Tullio prima ripudierà la moglie (e Floralba sul cornicione pronta a gettarsi per il disonore) poi, travestitosi da donna tenterà di raggiungere Messalina ai bagni per concupirla e umiliare Claudio (per altri versi già abbondantemente becco). E ancora scopriamo Erginda-in-Alindo desiderosa di vendette contro i tradimenti del marito Tergisto. Il pentimento sarà di tutti i personaggi: a cominciare da Caio di fronte al dolore di Claudio (dispiaciuto per aver rivolto le sue attenzioni a Floralba), di Tergisto (e conseguentemente di Erginda), e soprattuto di Tullio, che si ricongiungerà a Floralba. Di tutti, il pentimento, ma non di Messalina, la cui personalità – in fondo onesta in una prospettiva di valori ribaltati – è con finezza raccontata dalla poesia e ancor più dalla musica, attenta a sottolinearne l’impunita fierezza attraverso una vocalità ardita e aggressiva, ma anche languida e insinuante fin quasi alla morbosità . Ben si presta la nuova scrittura di quegli anni a sottolineare la componente edonistica dei caratteri di Messalina: scrittura che punta a un virtuosismo vocale esibito, ma con identità propria, ovvero svincolato dal verso o dalla parola singola, più abile quindi a descrivere uno stato d’animo (quelli che poi si codificheranno nelle tipologie d’aria settecentesche), meglio ancora se – quale sia la direzione, languida o aggressiva – intenso, radicale, totale.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi