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Cecchina, La
ossia La buona figliuola Dramma giocoso in tre atti di Carlo Goldoni, dal romanzo Pamela, or Virtue Rewarded di Samuel Richardson
Musica di Niccolò Piccinni 1728-1800
Prima rappresentazione: Roma, Teatro delle Dame, 6 febbraio 1760

Personaggi
Vocalità
Cecchina
Soprano
il cavaliere Armidoro
Tenore
il marchese della Conchiglia
Tenore
la marchesa Lucinda
Soprano
Mengotto
Basso
Paoluccia
Soprano
Sandrina
Soprano
Tagliaferro
Basso
Note
Carlo Goldoni aveva adocchiato già da alcuni anni il romanzoPameladi Richardson (1740): un decennio dopo l’apparizione del libro in Inghilterra ne aveva tratto una commedia,Pamela nubile, e infine un’opera buffa,La buona figliuola, messa in scena con musica di Egidio Romualdo Duni al Teatro Ducale di Parma nel carnevale del 1757. Ma al soggetto venne tributato un vero trionfo, immediato, travolgente e su scala europea, solo quando il libretto capitò tra le mani di Niccolò Piccinni, che lo rappresentò a Roma nel 1760. Una data capitale nella storia del teatro comico in musica, sia a detta dei contemporanei sia nella percezione dei posteri: anche per Verdi laCecchinasarà «la vera prima opera buffa».

Atto primo. In un «giardino delizioso». Cecchina, che lamenta il suo stato di trovatella, è costretta a rifiutare le profferte amorose del rozzo contadino Mengotto. In verità la ragazza è innamorata del marchese della Conchiglia, ma sia il carattere sia la diversa collocazione sociale le impediscono di rivelare questa segreta passione. Incautamente, il marchese fa sapere alla cameriera Sandrina di corrispondere l’amore di Cecchina: per invidia la ragazza ne informa il cavaliere Armidoro, l’altero e aristocratico spasimante della marchesa Lucinda, che si dimostra immediatamente preoccupato per questo attentato alla nobiltà del sangue. Solleva dunque la questione conversando con la marchesa, che, incitata dall’invidiosa Paolina (“Che superbia maledettaâ€), convoca Cecchina per licenziarla. L’ira della marchesa (“Furie di donna irataâ€) e la disperazione di Cecchina (“Una povera ragazzaâ€) conducono al finale primo (“Vò cercando e non ritrovoâ€), con cui si chiude l’atto.

Atto secondo. Mentre il marchese cerca invano Cecchina, questa è condotta via da una scorta di uomini armati. Il corteo è però assalito da Mengotto con l’aiuto di alcuni cacciatori: Cecchina, liberata, viene presa in consegna dal marchese, mentre il povero Mengotto finisce per incontrare un soldato tedesco, Tagliaferro, giunto in Italia per rintracciare una ragazza. Intanto le due serve invidiose riferiscono l’accaduto alla marchesa Lucinda e al cavaliere Armidoro (“Per il buco della chiaveâ€), con conseguente turbamento della marchesa, ma anche di Cecchina. Lo scioglimento della vicenda si sta però avvicinando: il marchese incontra infatti a sua volta Tagliaferro, che gli narra di come il suo signore, un barone tedesco, abbia abbandonato molti anni prima una figlia in tenera età in Italia, durante una campagna militare. Dalle notizie ricevute è chiaro che si tratta di Cecchina, rivelatasi dunque nobile: nulla può più opporsi alle sue nozze col marchese. I due uomini si recano senza indugi a cercare la ragazza, che si è addormentata, stanca per le tante peripezie, in un «recinto di pergolati e piante fruttifere» (“Vieni, il mio senoâ€), sognando la figura a lei ignota del padre. Durante una breve assenza del marchese, le solite serve cattive fingono di aver trovato Cecchina abbracciata a Tagliaferro: inutilmente però, visto che il marchese sa bene come stanno le cose.

Atto terzo. Si comincia con un’ulteriore calunnia di Paolina, che si è precipitata dalla marchesa Lucinda e dal suo spasimante. La delazione viene però interrotta dall’arrivo del marchese, che annunzia le proprie future nozze con una baronessa tedesca, per la gioia del cavaliere Armidoro, finalmente rasserenato. Sandrina torna all’attacco, ma ormai invano: il marchese rivela infatti a Cecchina la sua vera identità, annunciandole la fine dei suoi tormenti (“La baronessa amabileâ€). La notizia viene diffusa tra lo stupore dei protagonisti, e le nozze vengono finalmente celebrate, mentre Cecchina perdona benignamente le sue detrattrici (finale terzo, “Porgetemi la destraâ€).

Il soggetto si lega alla moda della commedialarmoyante, dilagante in tutta Europa a metà Settecento: le vicende patetiche di una ragazza innocente, vittima della sorte, erano state nel romanzo di Richardson l’occasione per esaltare la virtù della fanciulla. Il libretto di Goldoni, in modo più prosaico, mette in evidenza la casualità degli avvenimenti, in modo tale da permettere un esito positivo della vicenda. L’agnizione, dovuta all’intervento del pittoresco Tagliaferro, risolve una serie di contrasti altrimenti irriducibili, compensando così la passata infelicità di Cecchina. Questa figura di ragazza perseguitata avrà largo corso nell’opera buffa (successivo, celebre esempio sarà ?Nina, o sia La pazza per amoredi Paisiello oppure la protagonista di un’altra opera di Piccinni,L’incognita perseguitata, Venezia 1764, su libretto di Giuseppe Petrosellini), assicurando, anche in opere di soggetto differente, uno spazio per la rappresentazione di un personaggio analogo a quello ideato da Piccinni. L’orfanella Cecchina è infatti definita da alcune caratteristiche musicali precise: la sincope e il ritmo ternario, le tonalità minori, la melodia semplice e affettuosa, che diventano, d’ora in poi, sigle inequivocabili di un ‘femminile’ fragile e degno di compassione (Mozart lo utilizzerà per aprire, con Barbarina, il quarto atto delleNozze di Figaro), riflesso musicale di quel lessico in cui è il diminutivo stesso a evidenziare il tono emotivo dell’opera (“Poverina, la Cecchina†sarà il lamento della protagonista al culmine del suo dramma, alla fine del primo atto).

La buona figliolaè tuttavia opera complessa – e qui risiede anche molta parte della sua specifica levatura – in cui convivono il tono patetico e la frenesia comica, gli affetti della gente semplice (come quel personaggio buffo e insieme tenero che è Mengotto) e l’alterigia nobiliare. La concitazione è il sale di questa partitura, sia nelle arie sia nei finali d’atto – presenti questi ultimi in numero eccezionale, uno per ciascun atto (compreso il terzo, che non viene liquidato con un semplice coretto conclusivo). La loro novità, subito percepita dai contemporanei, sta soprattutto nella complessità di queste architetture teatrali, articolate in diverse scene e capaci di far agire ogni personaggio secondo coerenza con il proprio carattere. Così, ad esempio, nel finale secondo le parti maschili, voci della rettitudine morale, si contrappongono alle grida isteriche dei due soprani, traduzione della natura malevola delle serve (il loro carattere pettegolo era stato già illustrato dalla concitazione del duetto “Per il buco della chiaveâ€, II,8). Quella frenetica agitazione, che tocca il vertice nel coinvolgimento dell’orchestra e delle voci al gran completo al termine del finale secondo, è d’altra parte più che legittima, dopo i preannunci forniti dal primo movimento della sinfonia. Notevole anche la varietà delle arie solistiche, che non vengono rappresentate compiutamente dall’intenso tono elegiaco di quelle della protagonista (risolte nel fascino di “Una povera ragazzaâ€, o nella dolcezza con cui viene evocato il sonno in “Vieni, il mio senoâ€, dove la semplice melodia della voce è accompagnata dagli accordi tenuti degli archi e dalle note ribattute dei fiati). Gli altri personaggi si esprimono attraverso agili, quasi mimiche arie comiche dalla complessa articolazione interna (come quella di Sandrina “Sono una giovaneâ€, I,6). Oppure con una serie di arie da opera seria in piena regola. Tali sono, ad esempio, l’aria del cavaliere Armidoro “Della sposa il bel sembiante†(I,7) e quella della marchesa Lucinda “Furie di donna irata†(I,14), in cui il virtuosismo ‘serio’ esprime il malvagio furore del personaggio, come accadrà alla Regina della notte nelFlauto magico.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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