Prima che il 26 settembre 1835 andasse in scena al San Carlo di Napoli la
Lucia di Lammermoor, il trentottenne Gaetano Donizetti aveva composto, in diciassette anni di attivitĂ , quarantatrĂŠ opere. Aveva esordito al Teatro San Luca di Venezia il 14 ottobre 1818 con
Enrico di Borgogna, opera âsemiseriaâ, secondo una minuziosa classificazione di allora, perchĂŠ includeva un personaggio comico. Anche
Torquato Tasso(Roma 1833) fu per la stessa ragione definito âsemiserioâ, malgrado la morte di Eleonora dâEste e i deliri del protagonista. Opere âbuffeâ furono invece lâ
Elisir dâamore(1832) e
Don Pasquale(1843); ma esistevano anche le âfarseâ, come
Le convenienze e inconvenienze teatrali(1827) o il
Campanello(1836), nel repertorio donizettiano.
Lucia di Lammermoornon fu il primo grande successo di Donizetti nel genere âserioâ: giĂ Anna Bolena(1830) eLucrezia Borgia(1833) erano state opere vincenti. Questâultima, anzi, fu assiduamente rappresentata fino allâinizio del nostro secolo. MaLucia di Lammermoorrientra tuttora nel repertorio teatrale piĂš consueto. Donizetti morĂŹ cinquantunenne a Bergamo, sua cittĂ natale, in stato di demenza, dopo aver composto settanta opere. Per un singolare destino aveva descritto la demenza in varie opere, iniziando dalla protagonista diEmilia di Liverpool(1824) e continuando con i deliri di Murena nellâEsule di Roma(1828) e di Torquato Tasso nellâopera omonima, per giungere a quelli di Linda di Chamounix (1842). Dâaltronde le scene di follia erano un antico retaggio dellâopera italiana o italianizzante; comparvero giĂ nellâOrfeodi Luigi Rossi, per non parlare dellâOrlando furiosodi Vivaldi e di Händel o dellaNina pazza per amoredi Paisiello.
Il libretto di Salvatore Cammarano fu tratto daThe Bride of Lammermoor, romanzo di quel singolare depositario di soggetti operistici che fu Walter Scott. A lui si ispirarono ben quattro compositori che prima di Donizetti musicarono le vicende di Lucia ed Edgardo: Michele Carafa (Le nozze di Lammermoor, Parigi 1829), Luigi Riesk (1831), Ivar Frederik Bredal (La sposa di Lammermoor, Copenhagen 1832) e Alberto Mazzuccato (La fidanzata di Lammermoor, Padova 1834). Donizetti, come di consueto, fu rapidissimo: iniziò la composizione alla fine del maggio 1835, la terminò il 6 luglio. Scott, riferendosi alle lotte fra i seguaci di Guglielmo III dâOrange e i fedeli del detronizzato Giacomo II, aveva collocato il suo romanzo nella Scozia del 1689, mentre Cammarano retrodatòLuciaalla fine del Cinquecento.
Malgrado lâodio atavico che separa le loro famiglie, Edgardo e Lucia si amano e sâincontrano nascostamente. Ma Edgardo deve assentarsi, chiamato altrove dalle vicende della lotta nella quale è impegnato. Prima di partire rammenta a Lucia che Enrico Ashton gli ha ucciso il padre. PerdonerĂ , tuttavia, se potrĂ sposarla. Lucia lo prega di tenere ancora segreto il loro amore, ma gli giura eterna fedeltĂ . Nel secondo atto Enrico, prossimo alla rovina perchĂŠ la sua fazione è perdente, inganna Lucia facendole credere che Edgardo sâè legato a unâaltra donna e la costringe a sposare il potente Lord Arturo Bucklaw. Durante la cerimonia di nozze Edgardo irrompe nel castello degli Ashton, rimprovera a Lucia lâinfedeltĂ di cui sâè macchiata e maledice lei e la sua stirpe. La seconda parte del secondo atto vede Edgardo trascorrere la notte nello spoglio salone della torre nella quale risiede. Sopraggiunge Enrico, venuto a sfidare colui che ha osato turbare la cerimonia di nozze. Edgardo accetta la sfida, che avverrĂ allâalba. Intanto (terza scena del secondo atto) nel castello di Enrico gli invitati festeggiano ancora le nozze di Lucia con Arturo, ma sopraggiunge Raimondo, sconvolto, e narra che Lucia ha ucciso il marito traffigendolo con una spada. Il turbamento degli astanti è accentuato dalla comparsa di Lucia che, ormai folle, immagina prima che si stiano celebrando le sue nozze con Edgardo e poi, con una sorta di ritorno alla realtĂ , di rivelare allâamato di essere stata costretta a sposare Arturo. A questo punto cade svenuta. Nellâultima scena, che si svolge allâesterno della torre di Edgardo, questi, affranto per essere stato tradito da Lucia, immagina di rivolgersi a lei e di annunciarle che tra poco egli morrĂ . Medita evidentemente â anche se il libretto non lo precisa â di lasciarsi uccidere da Enrico. Sopraggiungono Raimondo e gli invitati alle nozze: Edgardo apprende ciò che è accaduto e che Lucia è agonizzante. Vorrebbe rivederla, ma quando i rintocchi dâuna campana annunciano che Lucia è morta, si trafigge con un pugnale.
Il 20 luglio 1830, scrivendo a Francesco Florimo â storico della musica, compositore e amico di Vincenzo Bellini â Saverio Mercadante parlava dâun âDozinettiâ, intendendo âdozzinaleâ. Era un nomignolo affibbiato a Donizetti per certa sciattezza e faciloneria, riscontrabili in non poche opere fino allora da lui composte. Donizetti, è risaputo, scriveva di getto, rapidissimo, senza troppo soffermarsi su ciò che gli usciva dalla penna; nĂŠ poteva ancora vantare unâAnna Bolena, unElisir dâamore, unaLucrezia Borgia, rappresentate tra il 1830 e il â33. MaLucia di Lammermoorfu la sua risposta alPiratadi Bellini, espressione dellâallora nascente melodramma romantico italiano. Anche nelPirataGualtiero (tenore) è vittima delle trame di Ernesto (baritono), che gli ha sottratto Imogene (soprano) costringendola a sposarlo. La vendetta di Gualtiero è la pirateria. UcciderĂ poi Ernesto in duello, ma questo renderĂ folle Imogene. In sostanza ilPirataaveva coniato quattro personaggi fondamentali: il giovane eroe oppresso dalla tristezza e dal rancore, perchĂŠ ha subĂŹto lutti e usurpazioni (Gualtiero); lâantagonista usurpatore (Ernesto); la donna angelicata, alla quale lo scontro fra Ernesto e Gualtiero toglierĂ il senno (Imogene) e Goffredo, che tenterĂ invano, in nome della dignitĂ sacerdotale, di evitare la tragedia. Ma questa è anche la conformazione di Edgardo, Enrico, Lucia e Raimondo.Il Pirataaveva fatto scalpore. Personaggi, linguaggio e situazioni stimolavano nella societĂ dellâepoca, fino ad allora amante del lieto fine, il gusto dellâintenerimento, la voluttĂ della commozione. Ebbene,Luciafu una sorta diPiratache, partendo da fatti meglio coordinati sotto il profilo narrativo, esprimeva piĂš compiutamente lâesperienza belliniana. Dâaltronde Bellini e Donizetti sâerano sovente mossi, fino ad allora e sia pure con formule in parte diverse, nella stessa direzione. BenchĂŠ alcune opere di Rossini avvincessero ancora il pubblico, il romanticismo esigeva un linguaggio meno stilizzato, meno fiorito e tale da raffigurare con maggiore immediatezza le situazioni sceniche. Bellini e Donizetti presero ad accostarsi a un linguaggio per lâepoca realistico, sopprimendo o riducendo le fioriture e lâornamentazione nel canto delle voci maschili e, a volte, anche in quello delle voci femminili. Fu il primo passo verso la verosimiglianza del linguaggio vocale â âverosimiglianzaâ che poco ha a che vedere con quello che sarĂ piĂš tardi il verismo. Il secondo passo furono melodie che partivano dallâaccentazione delle parole per svilupparsi in un motivo semplice, tenero, malinconico. CosĂŹ nacquero le arie, definite ânenieâ o âcantileneâ, che furono la sigla e di Bellini e di Donizetti. Tuttavia in certe âcantileneâ diParsina, diMaria Stuardao diAnna Bolena, lâabbandono e la malinconia nascono dallâantico espediente di far muovere la voce per gradi contigui, senza bruschi salti, o al massimo per piccoli intervalli. Ma proprio per questo Donizetti sfiora la grande melodia senza realizzarla: mancano lo struggimento e lâincisivitĂ , che egli raggiunge invece inLucia. In una melodia come âVerranno a te sullâaureâ (il duetto di Lucia ed Edgardo) lâaccentuazione della parola è messa in rilievo dallâintroduzione di ampi intervalli. Il languore della voce, che sale o scende per gradi contigui, trova nel salto dâottava iniziale di ÂŤVerrannoÂť un impulso che imprime sul periodo musicale ampiezza e incisivitĂ . Lo stesso nellâavvio di âTu che a Dio spiegasti lâaliâ (lâaria finale di Edgardo) e, in precedenza, in âSpargi dâamaro piantoâ (la scena della follia di Lucia nel terzo atto). Anche gli spunti veementi e iracondi nascono dallâimmediata trasfigurazione melodica della accentazione delle parole. Come nel Larghetto âCruda, funesta smaniaâ di Enrico (I,2) e, subito dopo, nella veemenza dellâAllegro moderato âLa pietade in suo favoreâ, che funge da cabaletta. Altrettanto aderente allâaccentazione âparlataâ è il Larghetto di Edgardo âSulla tomba che rinserraâ, che non per questo perde una felice flessuositĂ melodica (scena e duetto del finale primo).
Per la protagonista, il discorso sul linguaggio vocale è diverso. Donizetti, come Bellini in tutte le sue opere, applica soltanto saltuariamente al canto del soprano il procedimento di renderlo realistico eliminando vocalizzi e fiorettature; e questo proprio mentre il realismo drammatico guadagna spazio. Ma esiste una ragione storico-psicologica. GiĂ agli albori del melodramma il canto fiorito e vocalizzato distingueva i personaggi mitologici o regali dai comuni mortali. Nel melodramma romantico il canto fiorito risponde al concetto della donna virtuosa, inaccessibile, portata a nascondere le proprie forme dalla foggia della crinolina, che il moralismo del periodo 1830-60 contrappone al ricordo dâun passato, ancor prossimo, ritenuto licenzioso. Si tratta, insomma, dâun linguaggio allegorico che afferma lâavversione della donna alle basse passioni. Lucia prova certamente slanci dâamore fervidi, appassionati, ma Donizetti le inibisce il canto sillabico e âspianatoâ perchĂŠ non allegorico, non idealizzato. Quando Lucia entra in scena e narra lâapparizione dâun fantasma (âRegnava nel silenzioâ, I,4) la vocalità è prevalentemente âspianataâ, ma quando è descritto lâamore per Edgardo (âQuando rapita in estasiâ) diviene gradualmente virtuosistica. CosĂŹ ancora Verdi nel primo atto delTrovatore: canto semplice, quasi âspianatoâ nella descrizione che Leonora fa dellâincontro con Manrico (âTacea la notte placidaâ), ma un repentino getto di trilli e di agilitĂ nel successivo âDi tale amorâ.
Ma il canto ornato e fiorito di Lucia ha anche il compito di esprimere orrore e terrore, come nella seconda parte della cavatina âRegnava nel silenzioâ e come nella celebre scena della pazzia (III,5). Qui il recitativo arioso (quasi melodico, cioè) si alterna inizialmente ai melismi, per poi cedere, nel Larghetto âArdon gli incensiâ e nel Moderato âSpargi dâamaro piantoâ, a una scrittura che evoca tutte le componenti del vocalismo dâagilitĂ : gorgheggi in alta tessitura, volate e volatine, trilli, note ribattute, picchettati.
Notevoli inLuciai recitativi, anche per la loro varietĂ . Se Donizetti usa il recitativo âmonofonicoâ â articolato, imitando il âparlatoâ, sulla ripetizione di una stessa nota â lo ravviva facendo gradualmente salire di tono ogni frase (scena di Enrico e Lucia del secondo atto, âAppressati, Luciaâ e âMâodi, spento è Guglielmoâ). Adotta il âparlante-mistoâ, dove il recitativo è affine al canto, ma il motivo conduttore è in orchestra (nel dialogo di Enrico e Arturo prima della scena delle nozze). Sono presenti anche il âdeclamatoâ (Edgardo, prima della âmaledizioneâ) e il recitativo arioso che sfiora il cantabile (Edgardo in âTombe degli avi mieiâ). Questa complessitĂ dei recitativi rende piĂš serrato il ritmo della narrazione.
Il momento magico vissuto da Donizetti durante la composizione investe tutte le strutture dellâopera. Tra le pagine dâinsieme emerge il sestetto del finale secondo, dove tra lâaltro si scorge in Donizetti lâallievo di Mayr, per talune analogie con il sestetto del finale primo diLa rosa bianca e la rosa rossa(1813). La parte corale, vasta e accurata, sâinserisce felicemente nellâazione a partire dalla prima scena dellâopera, ora bellicosa (âPercorriamo le spiagge vicineâ), ora festosa (âPer te dâimmenso giubiloâ, finale secondo), ora partecipe del dolore di Edgardo e commossa dalla sua agonia nel finale. La strumentazione è abilmente correlata al mutare degli eventi scenici, anche attraverso interventi solistici. Nellâatmosfera notturna del parco, nel quale Lucia compare per la prima volta, è lâarpa ad annunciarla, con suoni liliali e sognanti; quando è convocata da Enrico, piagata dalla lunga assenza di Edgardo, è il lamento dellâoboe che la introduce; mentre nella scena della pazzia lâaccompagna il suono âbiancoâ e scarno del flauto.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi