Ispirata alla cronaca di una vicenda realmente avvenuta nel 1418 al castello di Binasco, nei pressi di Milano, lâopera fu composta su un libretto consegnato da Romani in grave ritardo rispetto agli accordi presi, causando cosĂŹ un non lieve motivo di attrito fra i due. Inoltre la prima rappresentazione, avvenuta nel pieno del carnevale veneziano, non ebbe affatto un esito felice, nonostante la prestigiosa presenza di Giuditta Pasta, primadonna acclamata per lâintensitĂ drammatica delle proprie interpretazioni, nel ruolo della protagonista. La trama, che ha una marcata rassomiglianza con quella di
Anna Bolena(1830) di Donizetti ed è alquanto complessa, sembra aver subito le suggestioni della figura della regina Cristina di Svezia descritta da Alexandre Dumas padre.
Agnese, amante di Filippo, in cuor suo innamorata di Orombello che a sua volta ama in segreto Beatrice, accusa costei di essere infedele al duca e di amare il cugino. Sconvolta dalla gelosia, con il duca non solo Agnese scopre insieme Beatrice e Orombello, ma produce pure alcune lettere di dubbia interpretazione, che costeranno ai presunti amanti la condanna. Orombello è infatti torturato ripetutamente e in un primo tempo confessa la colpa non commessa, poi ritratta; ma ciò non basta a evitare il supplizio. Il duca, incurante delle implorazioni della pentita Agnese e dei fedelissimi della moglie che reclamano la salvezza per lâamata contessa, decreta il patibolo per Beatrice e Orombello. La contessa, impavida e fiera, affronta la morte perdonando Agnese, sicura della propria innocenza e dellâamore divino.
In questa toccante scena finale risiede la vera diversitĂ rispetto adAnna Bolenadi Donizetti. Se Anna va incontro alla fine in una âscena di pazziaâ che la trasfigura completamente, Beatrice è invece sempre presente a se stessa, consapevole dellâineluttabilitĂ del fato che la condanna alla morte terrena, ma tranquilla della pace celeste. Una tipica figura femminile angelicata, pura ma schiava della sorte, che si esprime in un canto alato per cui Bellini compose alcune delle sue piĂš sognanti melodie: âMa la sola, ohimè, son ioâ nel primo atto e âAh, se unâurna a me è concessaâ nel finale, dove lâampiezza dellâarcata melodica si sposa a una delicata atmosfera lunare. Per tutta lâopera la protagonista domina gli altri personaggi, persino quando non è in scena: la sua figura emana una costante autorevolezza. Talora per il personaggio di Beatrice è stata tentata una linea interpretativa opposta a quella lirica, volta piuttosto a sottolinearne lâinfuocato romaticismo, la patetica e concitata veemenza di accenti che emergeranno con maggiore evidenza nelle opere successive. Pare però difficile trascurare la fluiditĂ e la leggerezza della linea melodica in nome di una pretesa adesione al vero. Le astrali tessiture di Beatrice si direbbero concepite per voci di chiara impostazione belcantistica e dotate di profonda sensibilitĂ estetica, tese in particolare alla valorizzazione di quei tenui colori e di quelle sfumature care a Bellini. Esemplare fu in questo senso la Beatrice di Joan Sutherland (1961, Teatro alla Scala: prima ripresa moderna dellâopera), che offrĂŹ unâinterpretazione di estatica e quasi metafisica astrazione. Antitetica la celebre e peculiare versione di Leyla Gencer (Teatro La Fenice, 1964), che diede un particolare risalto alla drammaticitĂ del personaggio, con lâimperiositĂ di unâincisiva declamazione da ârecitar cantandoâ.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi