Nel 1866 Jacques Offenbach abbandonava temporaneamente il suo teatro e la sua solita compagnia, i Bouffes-Parisiens, e destinava a quella del Palais Royal una nuova operetta,
La vie parisienne, una specie di omaggio alla Esposizione universale di Parigi che si andava allora preparando. A differenza delle operette precedenti, infatti, l’azione non è ambientata nel passato ma si svolge proprio a Parigi nel 1867, e la storia è solo un pretesto per rappresentare ironicamente la vita parigina di quei giorni, l’ebbrezza di una società in cui sono ormai cadute tutte le barriere sociali. Per la prima volta nelle operette di Offenbach l’attualità va in scena, e la parodia del presente non passa attraverso il filtro del passato.
Alla stazione di Parigi duedandiesrivali, Bobinet e Gardefeu, aspettano l’arrivo della loro amante Metella, ma questa, in compagnia di un altro signore, fa finta di non conoscerli. Arrivano anche un brasiliano carico di denaro (“Je suis Bresilien, j’ai de l’or”) e una coppia di svedesi, i baroni di Gondremarck, ambedue ansiosi di divertirsi senza il rispettivo coniuge. I due bellimbusti riescono a farsi passare per guide del grand hôtel, e conducono i due svedesi a casa di Gardefeu dove varie persone, tra le quali il calzolaio Frick e la guantaia Gabrielle, si fanno passare per gran signori (“Je suis veuve d’un colonel”). L’indomani la mascherata si ripete a casa di una zia di Bobinet, assente per la villeggiatura. Bobinet si finge un ammiraglio svizzero e la cameriera Pauline tenta di sedurre il barone (“L’amour c’est une échelle immense”). Tutti i presenti si danno alla pazza gioia (chanson à boire“En endossant mon uniforme”). Quindi falliscono i tentativi di Gardefeu di sedurre la baronessa di Gondremarck per l’improvviso arrivo della zia di Bobinet, Madame de Quimper-Karadec. Infine, nell’epilogo che si svolge al Café anglais, tutto si conclude nel migliore dei modi: i due baroni si rappacificano, Metella torna tra le braccia di Gardefeu, e il brasiliano trova l’amore nella guantaia Gabrielle. La storia termina nella felicità generale, con un inno alla città (“Par nos chansons et par nos cris célébrons Paris”).
La vie parisienneè l’omaggio più affettuoso reso da Offenbach alla sua città d’adozione, e a quella variopinta umanità che ogni sera si riuniva nei suoi caffè e affollava i suoiboulevardse i suoi teatri. Un tributo nel quale la sua vena caustica si è come affievolita: egli guarda con occhio egualmente affettuoso personaggi deldemi-mondee dellajeunesse dorée, idandiese le sartine, la cortigiana Metella e i baroni Gondremarck. Valga per tutti l’immagine della parigina che cammina suiboulevardscol naso in su, con la veste che fa «frou frou» e i piedini che fanno «toc toc»: «En la voyant on devient fou/ Et l’on ressent là comme un choc» dicono Meilhac e Halévy (“Sa robe fait frou frou”); e il grido di gioia del brasiliano nel rivedere Parigi («À moi le nuits de Paris») riflette forse l’entusiasmo del compositore per la città che gli aveva dato tutto. Non a caso, dunque, laVie parisiennecontiene il brano che più di tutti esprime la malinconia, il sentimento di nostalgia per un paradiso perduto, che si ritrova quasi sempre nelle sue migliori operette. Il brano emblematico è la lettera di presentazione che la cortigiana Metella riceve da un ex amante, il quale le raccomanda il barone di Gondremarck affinché lo renda felice come ha reso lui, Jean Stanislas barone di Frascata (“Vous souvient-il ma belle”): un nome e una situazione proprio da operetta. Invece quanta delicatezza e nostalgia nella musica di Offenbach e nelle parole di Meilhac e Halévy, rievocanti il «boudoirblu cielo» di Metella. La stessa nostalgia che traspare nelle parole della piccola guantaia Gabrielle, interpretata da una delle artiste preferite di Offenbach, Zulma Bouffar. Il suo inno al guanto,souvenirdi amori perduti per sempre, è ancora una volta un inno alla felicità del passato e della memoria (“Autrefois plus d’un amant”): Parigi è il paradiso, perduto e ritrovato.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi