Appianati i contrasti con Barbaja, insorti a causa di una inadeguata messa in scena del
Pirataal San Carlo, l’impresario offre al catanese due possibilità per la successiva stagione di carnevale: scrivere per Napoli, dove avrebbero cantato la Tosi, Rubini e Lablache; oppure Milano per la Méric-Lalande, Winter e Tamburini. La scelta non era facile; Napoli significava Giambattista Rubini, una sicurezza per il successo dell’opera, ma anche inserirsi sulla scia del
Pirata, perché questo il pubblico si aspettava, e quindi ripetersi. Milano era invece una sfida: si trattava di mettere alla prova se stessi e la propria musica, per verificare se avrebbe ottenuto successo anche senza la presenza di Rubini. Dopo lunga riflessione, e confortato anche dal consiglio degli amici, il 16 giugno 1828 Bellini sottoscrive il contratto per la Scala. A favore di Milano hanno giocato motivazioni personali: Bellini, memore di quanto avvenuto al tempo di
Bianca e Gernando, tornerà a Napoli solo quando sarà un compositore affermato e la sua posizione sarà inattaccabile. Con animo rinfrancato confida al Florimo che «essendo obbligato di scrivere per altri cantanti, il cambiar genere è facile che mi porti alla novità ». Bellini concorda con Romani il soggetto. Si tratta del romanzo
L’étrangèredi Prévost, visconte d’Arlincourt, già ridotto a libretto dal Tottola per Stefano Pavesi (
Il solitario ed Elodia, Napoli 1826). Non solo, ma il barone Giovan Carlo di Cosenza ne trasse, nel 1825, un dramma in cinque atti intitolato
La straniera. Romani non seguirà la trama, ma riunirà le situazioni più interessanti nei loro tratti essenziali.
Il punto debole della compagnia, nonché fonte delle perplessità di Bellini era il tenore Winter, più volte fischiato nel corso della stagione scaligera. Di qui le reiterate suppliche a Barbaja per avere Rubini a Milano; senza ilsuotenore prediletto si sente perduto. «Come farò io senza Rubini, se pure farò una musica divina? Il suo canto dava quell’angelico suono alla mia musica». Barbaja non cede; si pensa di assegnare il ruolo di Arturo a Tamburini, ipotesi poi scartata poiché secondo Bellini la voce di basso manca dello slancio necessario che caratterizza l’amoroso. Il ruolo sarà affidato al secondo tenore scritturato da Barbaja: Domenico Reina, giovane e volonteroso cantante pronto a seguire docilmente le indicazioni del maestro per «apprendere il nuovo stile». La ripartizione dei ruoli viene così confermata: Méric-Lalande (Alaide), Ungher (Isoletta), Tamburini (Valdeburgo) e Reina (Arturo).
Atto primo. In Bretagna, nel castello di Montolino e nei suoi dintorni, verso il 1300. Arturo, conte di Ravenstel, fugge la promessa sposa Isoletta, figlia del signore di Montolino, per amore di una misteriosa donna velata. Alaide, così si fa chiamare costei, prega Arturo di lasciarla per evitare sciagure a entrambi (“Serba, serba i tuoi segretiâ€). Arturo coglie un misterioso colloquio tra Alaide e Valdeburgo, sospetta che il barone gli sia rivale e lo sfida a duello; ferito, Valdeburgo precipita nel lago. Saputo da Alaide che il barone è il fratello dell’amata, Arturo si getta nel lago in soccorso. Giunge Osburgo che, notate le vesti insanguinate di Alaide, l’accusa di omicidio, ma ella affranta dalla sciagura delira (“Un grido io sentoâ€).
Atto secondo. L’inaspettato arrivo di Valdeburgo salva Alaide e Arturo, creduto suo complice, dalla condanna a morte (“Sì, li sciogliete, o giudiciâ€): la donna, svelata la propria identità al priore degli Spedalieri, può tornare libera. Valdeburgo convince Arturo a sposare Isoletta, e questi accetta a patto che Alaide sia presente. Davanti al tempio degli spedalieri, Alaide attende lo svolgimento della cerimonia (“Ciel pietoso, in sì crudo momentoâ€). Arturo esce dalla chiesa e vuole fuggire con Alaide; giunge il priore degli spedalieri e rivela che la donna è in realtà la regina Agnese, richiamata al trono dopo un lungo esilio; il conte disperato, poiché l’amata è ormai irraggiungibile, si uccide.
La storia è alquanto complessa, presentando anche dei punti oscuri; Romani delega importanti chiarimenti ai recitativi, che Bellini però non ha musicato perché estranei allo svolgimento della vicenda. L’opera riscosse un successo clamoroso e tutte le cronache non esitarono a giudicarla addirittura superiore alPirata. Quello che colpì il pubblico fu l’immediatezza dell’espressione melodica, sempre aderente alle parole del testo o al momento scenico: quella che un anonimo recensore dell’epoca definì come ‘musica drammatica’ intesa come avvicinamento dimelose declamazione, di recitativo e aria. Le forme chiuse perdono il rigore della struttura, per aprirsi a un andamento più vario e dinamico. Con laStranieraBellini perfeziona il suo linguaggio musicale, privilegiando i pezzi d’insieme sui brani solistici, al punto che Arturo è privo di arie e canta solo nei pezzi d’insieme. Infatti sono soltanto quattro le arie vere e proprie, mentre consistente è l’inserzione di periodi cantabili nei recitativi, molto più di quanto accada nelPirata, rendendo così assai più varia e articolata la vicenda. La struttura delle arie presenta tratti di grande originalità . La sortita della protagonista, la romanza “Sventurato il cor che fidaâ€, è divisa in tre strofe, intervallate dagli interventi di Arturo, da cantare fuori scena, accompagnata dall’arpa, secondo le indicazioni del libretto, prima lontana, poi vicino infine vicinissimo. Si crea così un clima di trepida attesa, preparato con grande abilità , che ben delinea sia il tono generale sia il carattere della protagonista. Alaide entra con una serie di vocalizzi, cui segue un duetto con Arturo, in più sezioni, di carattere patetico e malinconico. L’originale finale primo diNorma, che tanto scalpore suscitò al suo apparire, è stato preceduto da un altro finale altrettanto moderno. Il primo atto dellaStranierasi chiude con un assolo di Alaide (“Un grido io sentoâ€), di grande libertà formale perché di struttura asimmetrica: quattro quartine di quinari variamente rimati, in cui il quarto verso è sempre tronco. Un momento fortemente drammatico, nel quale Bellini rinuncia alla cabaletta tradizionale in favore di un canto declamato, cui segue il medesimo andamento nel testo. L’aria finale è concepita in stile drammatico. Secondo un aneddoto Bellini avrebbe composto la melodia senza testo, ma intuendo la scena. Alaide intona un recitativo fortemente teso, segue il largo maestoso della preghiera (“Ciel pietosoâ€), una melodia purissima, di un genere nel quale Bellini era maestro. Un coro interno fa da ponte alla stretta conclusiva; dopo il suicidio di Arturo, Alaide «nell’estrema disperazione» attacca l’Allegro moderato (“Or sei pago o ciel tremendoâ€); la cabaletta presenta numerosi acuti da prendere di slancio, con salite al doed al realquanto impervie.
Bellini ha vinto la sfida: ha ottenuto successo anche senza Rubini e componendo un’opera che si discosta dalPirata. Quando Rubini riprese l’opera alla Scala, nella stagione 1829-30, Bellini alzò la tessitura di Arturo in vari punti e utilizzò alcuni brani tratti da composizioni precedenti (in “Qual sarà dolorâ€, che proviene dalTantum ergocomposto all’epoca degli studi in conservatorio, e nella cabaletta di Valdeburgo “Meco tu vieni o miseraâ€, daAdelson e Salvini, dall’arietta di Fanny nell’introduzione e assolo di Salvini “Ecco signor la sposaâ€, finale secondo, seconda stesura).
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi