Per la loro quarta
tragédieLully e Quinault si rivolsero nuovamente a un soggetto della mitologia antica, tratto dai
Fastidi Ovidio, che offriva l’occasione per scene grandiose di celebrazioni e cerimonie, assecondando il gusto della corte. Il prologo allude a eventi politico-militari di attualità (Luigi XIV era in attesa della bella stagione per riprendere la sua campagna militare nelle Fiandre): il Tempo e le Ore lamentano il perdurare dell’inverno, ma Zefiro ricorda che la primavera, portando la guerra, è meno dolce di quanto sembri, mentre l’inverno è il momento dei giochi e del riposo. Le danze di Flora e delle ninfe vengono interrotte dall’arrivo della musa della tragedia, Melpomene, che con il suo seguito inscena una battaglia e introduce l’argomento della
tragédie.
Sangaride, che sta per sposare il re Célénus, è segretamente innamorata di Atys, che la ricambia; i due si confessano i reciproci sentimenti, ma il loro amore incontrerà molti ostacoli: Atys si sente diviso tra l’amicizia per Célénus e l’amore per Sangaride, e inoltre è amato dalla dea Cibele, che lo ha scelto come proprio sacerdote. Nel terzo atto il Sonno, con i suoi figli, rivela ad Atys addormentato l’amore di Cibele; per un equivoco Sangaride crede che Atys non la ami più e decide di sposare il re, ma il suo innamorato, nella veste di sacerdote, si oppone alle nozze. Cibele capisce di non essere ricambiata nei suoi sentimenti, invoca la furia Aletto e provoca la follia di Atys. Questi uccide Sangaride, scambiandola per un mostro (l’omicidio avviene fuori scena e viene narrato da Célénus) e, quando torna in sé, non gli resta che darsi la morte. Cibele lo trasforma in un pino, che ella potrà amare in eterno.
L’azione è assolutamente unitaria, senza intrecci secondari e scene di carattere comico, e si pone l’obiettivo di emulare la semplicità e la coerenza del teatro classico. Il personaggio di Cibele non è visto come una divinità che interviene dall’alto nelle vicende umane: è una donna innamorata e gelosa, che si dispera quando scopre di non essere corrisposta; il suo intervento nell’ultimo atto risulta quindi motivato dalle vicende precedenti. La coerenza dellatragédieè ottenuta anche musicalmente, con il ritorno di alcune sezioni (ad esempio il richiamo «Allons, allons, accourrez tous», che ricorre, variato, in tre scene del primo atto) e con un aumento graduale dell’intensità drammatica, che giunge al culmine nell’ultimo atto. Anche idivertissementssono ben inseriti nell’intreccio e non comportano un’interruzione della vicenda: spicca quello del terzo atto (la scena del «sommeil»), introdotto da un ampio preludio, reso misterioso dai sospiri di archi e flauti diritti, cui seguono i brani solistici e gliensemblesdel Sonno e dei suoi figli, con le danze dei sogni piacevoli e dei sogni funesti. È importante osservare che i quattro protagonisti non hanno il ruolo preminente che ci si potrebbe attendere: i brani loro affidati non prevedono certo il virtuosismo dell’opera italiana e vengono ‘arginati’ daensembles, cori e da numerosi brani strumentali; tra questi emerge ilpréludeche introduce l’arrivo di Aletto, affidato a un rapido movimento di semicrome e ritmi puntati negli archi (V,3). Luigi XIV apprezzò molto la nuova opera e la fece replicare più volte per sé e la corte, tanto che divenne nota come «l’opera del re», mentre a Parigi l’accoglienza non fu particolarmente entusiastica. La diffusione in ogni strato della popolazione è comunque testimoniata dal gran numero dichansons, che parodiavano diversi brani dellatragédie; il libretto di Quinault fu poi ripreso da Marmontel per l’Atysdi Piccinni (1780). Il successo dell’allestimento del Teatro Comunale di Firenze, in collaborazione con l’Opéra di Parigi e di Montpellier (1986 e 1987, direttore William Christie), ha contribuito a richiamare l’interesse sull’intera opera di Lully nel terzo centenario della morte del compositore.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi