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Buon soldato Svejk, Il
Opera in tre atti di Gerardo Guerrieri, da Jaroslav Hašek
Musica di Guido Turchi 1916-
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 5 aprile 1962

Personaggi
Vocalità
Bretschneider
Basso
Carlotta
Soprano
I avventore
Tenore
I compagno di cella
Tenore
I sostituto
Tenore
I ufficiale
Tenore
II avventore
Baritono
II compagno di cella
Basso
II sostituto
Basso
II ufficiale
III compagno di cella
Mimo
il capitano medico
il capitano Pelikan
Tenore
il generale
Baritono
il giudice
Baritono
il maresciallo
Baritono
IV compagno di cella
Baritono
Katja
Soprano
Svejk
Baritono
un birraio
Tenore
un distinto signore
Tenore
un ferroviere
Tenore
un industriale
Tenore
un messo
Recitante
un ufficiale
Recitante
una cliente
Mezzosoprano
una guardia
Recitante
V compagno di cella
Tenore
VI compagno di cella
Note
Commissionata dalla Scala per la stagione 1953-54, l’opera vide la luce dopo quasi un decennio per la decisione dell’autore di ampliare il progettato atto unico in tre atti. Turchi lavorò al personaggio del sempliciotto Svejk, popolare nei paesi slavi (e descritto in un romanzo incompiuto del cecoslovacco Hašek), probabilmente senza contatti con l’analoga opera di Weill (Schweyk im zweiten Weltkrieg, 1943, rappresentata nel 1959 e in Italia nel 1961). Le recensioni dell’epoca giudicarono la partitura «scritta in modo sapientissimo e inappuntabile» ma superficiale, in quanto «la musica non enuncia o risolve il dramma», non cogliendo, forse, la tragica corrispondenza tra l’ingenuità di Svejk, manipolato dall’autorità, e il richiamo all’inattuale ‘musica d’uso’: modi certo un poco desueti, nel 1962, tanto che un critico segnalò che Turchi non aveva temuto «di apparire arretrato agli occhi dei suoi colleghi oltranzisti, prigionieri della dogmatica dodecafonia». L’opera ottenne, alla ‘prima’, dissensi crescenti nel corso della rappresentazione, nonostante la grande varietà di soluzioni presentate e il notevole impegno compositivo.

Atto primo. In una birreria di Praga, all’indomani dell’attentato di Sarajevo. Joseph Svejk, commerciante di cani, conversa con la fidanzata Katja. Bretschneider, un avventore, lo fa bere e lo induce a esporre la sua opinione sull’attentato. Svejk si sbilancia a prevedere la guerra e Bretschneider si svela come poliziotto e lo arresta insieme al birraio, sospettato di sovversione con un pretesto. In cella incontrano altri sospettati. Davanti al giudice, il birraio supplica, ma è condannato. Svejk ammette tutto ed è anch’egli condannato, ma un telegramma annuncia la guerra; viene quindi inviato ad arruolarsi nell’esercito.

Atto secondo. Svejk è ora l’attendente del capitano medico, un maniaco della psicoanalisi che vuol fare di lui un eroe. Subito però si gioca a dadi il suo attendente e lo passa al capitano Pelikan, un vanesio dedito ai vizi. Anche Pelikan gioca Svejk ai dadi e lo riconsegna al capitano medico che, con l’ipnosi, lo trasforma in un «buon soldato». In un’altra partita i due capitani decidono di condividere i servizi dell’attendente. Pelikan lo utilizza per organizzare un suo incontro galante con Mimì e Carlotta: il piano non funziona e giunge anche un industriale, il marito di Carlotta. Il generale scopre gli intrighi di Pelikan e lo spedisce al fronte.

Atto terzo. La tradotta si ferma vicino a una gendarmeria comandata da un maresciallo ossessionato dall’idea di scoprire delle spie. Qui la sentinella (il birraio) conversa con Katja. Il capitano Pelikan, sopraggiunto, comincia a corteggiare Katja, finché arriva Svejk con Carlotta. Katja e Svejk si riconciliano. Il maresciallo trova sospetta la situazione e arresta Svejk e il capitano come spie. Epilogo: al fronte si ritrovano il maresciallo (degradato) e Svejk, intento a scrivere a Katja una lettera, finché non viene mandato a tagliare i reticolati. Si sente un’esplosione.

L’ironico testo di Hašek, di forte impegno politico e sociale – peraltro quasi eluso nell’interpretazione di Guerrieri e Turchi – è musicato in uno stile eclettico, con frequenti soluzioni mutuate dal linguaggio di Berg e Weill e richiami a ritmi e a forme strumentali e vocali tradizionali (come il valzer, laberceuse, la cabaletta, ilpot-pourri) costantemente deformate da cromatismi. Oltre ai ritmi di danza ricorrono quelli militari, mentre al canto si alternano spesso il parlato e loSprechgesang, così da agevolare la massima comprensibilità del testo. Sia pure in presenza di ‘forme chiuse’, l’orchestra segue da vicino l’azione, sottolineando gli aspetti grotteschi e caricaturali con opportune scelte timbriche e ritmiche, ma anche con taluni accenni descrittivi nelle scene delle partite a dadi e della tradotta. Le scene d’insieme con le voci femminili introducono talora dei toni concitati da opera buffa anche se la tinta predominante, resa efficacemente da un linguaggio intenso e cromatico, è quello di una sarcastica ironia.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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