Scritta sullo stesso libretto utilizzato trentaquattro anni prima da Paisiello, l’opera di Morlacchi venne composta nei primi quattro mesi di quel 1816 in cui Rossini presentava a Roma (il 20 febbraio) il proprio
Barbiere.Nei confronti del lavoro straordinariamente innovativo del pesarese, la versione di Morlacchi presenta tutte le caratteristiche di un’operazione conservatrice; legato alla scuola napoletana del secolo precedente (aveva studiato con Zingarelli, prima di passare a Bologna, nel Conservatorio frequentato poco dopo da Rossini stesso), il compositore confezionò un’opera in cui domina incontrastata una cantabilità distesa, elegante e serena (già l’introduzione, con l’entrata del conte e di Figaro, lo dimostra chiaramente). Le parti strumentali, concepite per l’ottima orchestra di Dresda, sono molto curate sin dalla vivace sinfonia, i pezzi sono sapientemente articolati e soprattutto alcuni numeri, come il duetto Figaro-Rosina (novità rispetto a Paisiello), risultano estremamente godibili. Il carattere complessivo dell’opera rimane legato, nella linea dell’illustre predecessore, all’elegia, ai toni smorzati, a un’ironia serena che non conosce la virulenza rossiniana. Talvolta la partitura presenta raffinatezze notevoli, come la parte di viola solista (era il celebre Polledro) nell’aria di Rosina “Giusto ciel”, o la presenza del folklore spagnolo (il fandango e la seghediglia) nell’aria di Bartolo, da eseguirsi «colle gnacchere», oppure la chiusa raffinata del citato duetto Figaro-Rosina. Nonostante però tutte le attenzioni profuse al tessuto orchestrale, la voce rimane protagonista suprema, a riproporre per il Teatro di corte di Federico Augusto un ideale di opera comica settecentesca dalle caratteristiche bonariamente inalterate, aldilà di ogni rivoluzione storica (in quella Dresda che, nel 1776, aveva assistito al primo
Barbierein musica, la
komische Oper Der Barbier von Sevilladi Benda).
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi