Trentatreesima delle trentotto opere da lui composte,
Caterina di Guisaappartiene alla maturitĂ creativa di Carlo Coccia; non fortunata come la bucolica
Clotilde(Venezia 1815), nĂŠ formalmente ambiziosa come
Maria Stuart, regina di Scozia(Londra 1827), ha però tutte le carte in regola per essere considerata il suo capolavoro. CosĂŹ parve, per altro, al pubblico della âprimaâ scaligera, conquistato da ÂŤquella eguaglianza e splendidezza di stile, quella chiarezza e quel vigore dâinstrumentazioneÂť. Dopo
Rosmonda(Venezia 1829),
Caterina di Guisasegna la seconda collaborazione del compositore napoletano con un Romani particolarmente a suo agio nel ridurre la spettacolare fastositĂ del dramma dumasiano in un libretto di singolare, vibrante essenzialitĂ .
Il conte di San Megrino ama riamato Caterina, moglie del suo rivale politico, Enrico, capo del partito avverso al sovrano. Durante una festa al Louvre, San Megrino incontra furtivamente Caterina: la donna, seppur riluttante, confessa il proprio sentimento, ma intende serbare fedeltĂ al marito; nel separarsi ella perde un fazzoletto che, raccolto da Enrico, gli rivela lâinfedeltĂ della moglie. Il duca, animato da un odio mortale, obbliga Caterina a scrivere una lettera che invita il conte a un incontro amoroso, per attirarlo nel proprio palazzo e ucciderlo; latore del messaggio sarĂ lâinconsapevole Arturo, cugino della duchessa e pure di lei segretamente innamorato. Giunto a palazzo, San Megrino dapprima non presta ascolto alle suppliche della donna che tenta di farlo fuggire, poi si convince. Troppo tardi: cadrĂ per mano dei seguaci del duca (come pure Arturo giunto a soccorrerlo), sotto gli occhi del duca stesso e di Caterina che, straziata, invoca âLascia in prima, ah! lascia almenoâ.
Opera dal taglio rapido e incalzante, con quattro caratteri ben delineati, pochi interventi corali, marginali seppur eleganti, nessun comprimario,Caterina di Guisaconiuga efficacemente un lessico musicale di classica compostezza con una sensibilitĂ drammaturgica prossima a climi donizettiani. Nel 1836, per una ripresa torinese al Carignano, Coccia approntò una seconda versione dellâopera: Arturo mutò da contralto a mezzosoprano, Enrico da tenore a basso; affrancandosi dal retaggio rossiniano del tenore antagonista, Coccia dava unâulteriore prova della sua sintonia con i tempi nuovi.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi