Lâultima opera di Wolf-Ferrari appare, per piĂš di un aspetto, una sorta di testamento musicale e spirituale, composto in una casa della periferia romana, in primavera, dove lâautore, ispiratissimo, si era quasi segregato, lontano dal chiacchiericcio del mondo, quasi a ritrovare un equilibrio umano e musicale. Il testamento prende forma nel richiamo ai suoi maestri di sempre: Goldoni, Mozart, il Verdi di
Falstaff, nellâomaggio a una civiltĂ culturale fuori del tempo e dello spazio, in una sorta di Olimpo ironico ed elegiaco insieme.
Atto primo. In un campiello veneziano vivono varie persone: Gasparina con lo zio Fabrizio; due vedove bramose di nuovo marito e madri di belle figlie da marito, la sdentata Cate Panciana, con Lucieta, e la sorda Pasqua Polegana, con Gnese; e Orsola, venditrice di frittelle, col figlio Zorzeto. Fra le case del campiello câè una locanda, dove da poco alloggia il napoletano cavalier Astolfi, senza una lira ma amante della bella vita: gli piace Gasparina che, vanitosa comâè (âcaricataâ ovvero affettata, tanto da usare la âzâ al posto della âsâ), sta al gioco della sua corte; e gli piacciono, al contempo, Lucieta e Gnese. Ma queste al gioco non stanno, innamorate come sono Lucieta (gelosa di Gnese) del merciaio Anzoleto (geloso di Zorzeto) che sta per sposare; e Gnese di Zorzeto, col quale ha avuto il permesso di fidanzarsi da Orsola: ma per il matrimonio câè tempo. A Lucieta il cavalier Astolfi offre un anello che ella, sdegnata, rifiuta: lo prende per lei sua madre Cate mentre il cavaliere si concentra sulla benevolente e leziosa Gasparina.
Atto secondo. Mentre Fabrizio si lamenta del chiasso nel campiello, Astolfi invita a pranzo tutti quanti. La sdegnosa Gasparina, che non si vuol mischiare col popolino, rifiuta; ma lâoccasione è buona lo stesso per il cavaliere, che può parlare al termine del convito con Fabrizio, chiedendogli in sposa la nipote. Fabrizio, napoletano pure lui, sa di che consistenza sia la condizione del cavaliere, ma non vede lâora che Gasparina se ne vada di casa, e asseconda il progetto matrimoniale. CosĂŹ Astolfi e Gasparina possono parlare un poâ, giusto prima che, a forza di vino, si passi da un inizio di lite a un ballo generale.
Atto terzo. Sempre piĂš irritato dal gran chiasso del campiello, Fabrizio sta trasferendosi, ma ancora può invitare a casa Astolfi. Crucciato è Anzoleto, perchĂŠ Lucieta è andata a casa di Orsola e Zorzeto: la aspetta e, quando esce, le dĂ uno schiaffo. Poi si riconcilia con lâamata per intervento di Cate, e quindi di nuovo si irrita vedendo passare Zorzeto, che insulta. Questi risponde a sassate: il campiello diventa tutto una rissa. Ma Astolfi interviene pacificatore e invita tutti unâaltra volta, stavolta a cena. A tavola tutto si riappacifica; e il cavaliere annuncia che sta per sposarsi con Gasparina, con la quale se ne andrĂ da Venezia. Gasparina, commossa, saluta la sua cittĂ e il campiello dovâè vissuta (âBondĂŹ Venezia caraâ).
Il dialetto goldoniano del Campiello riceve da Wolf-Ferrari un trattamento di mano leggerissima e di effervescente inventiva melodica, frutto di una grande elaborazione sullâimpianto felicemente teatrale secondo lâinsegnamento appreso da Falstaff, soprattutto dalle scene del chiacchiericcio e intorno alla cesta di panni, piuttosto che da quelle monopolizzate dal protagonista. Diurno e malinconico, Il campiello ha colori di iridescenza argentea, impossibile dire se colti su unâalba o su un tramonto. La sua matrice è viennese, se si colgono gli echi dalle danze popolari di Schubert proprio allâinizio, e lâinnervatura, che è tuttâintera un omaggio a Mozart. In questâopera incantevole, il compositore ha preferito la freschezza del risultato alle teorizzazioni: ma Wolf-Ferrari non fa nĂŠ operazioni di retroguardia nĂŠ restaurative. Di fronte al bouquet profumatissimo della sua musica si comprende che egli ha deciso di cantare di nuovo in un ininterrotto omaggio alla sua musa, e tra i profumi che si colgono nellâascoltarlo, di gran lunga dominante è quello del Novecento, che dialoga con la franchezza settecentesca, popolare e mai incipriata, in un fuori del tempo (âZeitlosesâ) da lui intravisto in Mozart e sempre inseguito.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi