Definita dall’autore «opera vistosamente surreale»,
Cailles en sarcophagedeve il proprio titolo a una controversa ricetta neoclassica di cui fa menzione Karen Blixen nel
Pranzo di Babette. Fu composta in poco più di un mese nell’agosto-settembre del 1979 e in essa i suoni, in realtà a lungo meditati e ‘costruiti’ mediante lo sfruttamento di materiali della più disparata provenienza (suoni di natura, artefatti, radiofonici, di estrazione colta, jazzistica, popolare, ‘contemporanea’), vengono spacciati per ‘rumori naturali’ atti a rappresentare (ove il verbo, come in tutto il teatro di Sciarrino è da intendersi come sinonimo di ‘manifestare’, essendo la drammaturgia sciarriniana sempre
internaal fatto sonoro) non una vicenda ma tante storie diverse, tante ‘ossessioni’ di cui l’opera costituisce il ‘museo-contenitore’, come suggerisce il sottotitolo. Le fonti di queste storie, raccolte in tre parti di tre scene ciascuna (prima parte: ‘Papin’, ‘La notte’, ‘Marlene’; seconda parte: ‘Un campo’, ‘Greta’, ‘A tavola’; terza parte: ‘Camille’, ‘Cailles en sarcophage’, ‘Gala’) provengono dai più svariati testi di un’ampia serie di scrittori (da Kavafis a Wedekind, da Benjamin a Malaparte, da Burnes a Cocteau). Tra la prima redazione dell’opera, per la Biennale Musica, e quella definitiva dell’anno successivo la partitura è stata sottoposta a una minuziosa revisione.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi