In occasione delle seconde nozze di Carlo II di Spagna, al principio del 1690 celebrazioni e festeggiamenti si contarono un po’ ovunque in Europa: a Roma l’ambasciatore spagnolo volle fare grande festa. L’anno prima era morto papa Innocenzo XI, detto ‘il papa minga’ per la sua feroce ostilità al teatro (l’ultimo suo atto fu chiudere in Roma tutti i luoghi di spettacolo). Alessandro VIII sembra più disponibile: quale migliore occasione per ricominciare in grande stile? Dovrà essere una festa indimenticabile, piena di musica, macchine, balli, trionfi e soprattutto con le donne. Con le donne che per una volta almeno cantino davvero! L’esclusione delle ‘virtuose’ dalle scene romane, e solo romane, doveva apparire una velleità tutta ‘papale’: e quella festa ‘civile’ e spagnola voleva invece essere anche una dimostrazione di supremazia. Anche il soggetto, naturalmente spagnolo, tiene conto della rara occasione tutta al femminile riproponendo il mito delle Amazzoni, tema già varie volte frequentato con successo (
Veremonda l’amazzone d’Aragonadi Cavalli, Venezia 1652 o 1653,
Le Amazzoni nell’Isole Fortunatedi Pallavicino, Padova 1679,
Mitilene regina delle Amazzonidi Giovanni Bonaventura Viviani, Napoli 1681,
L’Amazzone corsaraancora di Pallavicino, Venezia 1686), capace di offrire la facile comicità di improbabili virago in armi e un attualissimo elemento satirico rivolto a zerbinotti effeminati e sempre più impomatati a cui fanno da contr’altare. Musicista prescelto per l’occasione è Bernardo Pasquini, che con Alessandro Stradella aveva caratterizzato degnamente l’ultimo decennio della produzione operistica romana sotto gli auspici di due importanti mecenati, morti proprio l’anno prima, Cristina di Svezia e Lorenzo Colonna. La famiglia Colonna continuò fortunatamente il suo sostegno all’opera e per l’occasione mise a disposizione il teatro del proprio palazzo. La vicenda, pur ambientata in quella strana terra dove «se un huom qui capita non gli si fa processo ma, summarie del sesso fatta recognitione, si decapita», è pur sempre storia d’intrighi, d’amori, e di gelosie: Mandane, regina delle Amazzoni, innamoratasi di Licandro, deve riuscire a convincere Mitilene, la sorella generalessa, che in fondo questi uomini non sono così male. Le aprirà gli occhi l’aitante Artide. L’opera, grandiosa, prevede un prologo e due intermezzi con studiato sfoggio di macchine (Girolamo Fontana disegnò le scene). Ecco il globo del mondo che si apre e lascia uscire carri allegorici, una grotta che si solleva da terra, navi trainate da mostri marini, apparizioni in cielo, Pegaso che porta fra le nuvole il carro della Fama, voli di amorini e così di seguito. Pasquini ben si adegua a sostenere musicalmente tanto impegno celebrativo. La sua scrittura, pur di matrice contrappuntistica, con gli anni si è lasciata andare a una vocalità più lineare e aderente ai mutamenti del gusto. Né ha difficoltà , in questa particolare occasione, a recuperare lo spessore necessario a un’orchestra più ampia (ben nove le arie accompagnate), senza per questo rinunciare all’acquisita spontaneità belcantistica. Il trionfo dello spettacolo, l’alto valore di musica e scene, la bravura dei cantanti: tutto è gustosamente ricordato nei
Mémoiresdi Madame de Coulanges.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi