La vena espressiva di Cagnoni si realizzò compiutamente nel genere buffo che, attorno alla metĂ dellâOttocento, conobbe una rinnovata fortuna; a questo particolare momento appartiene
Don Bucefalo, che risale al periodo di apprendistato del compositore presso il Conservatorio milanese. Il libretto, parafrasi di quello di Giuseppe Palomba per
Le cantatrici villanedi Valentino Fioravanti, si inserisce nel ricco filone dei soggetti legati alla satira sul teatro in musica.
Don Bucefalo ode cantare alcune contadine di Frascati e ne rimane colpito; offre loro lezioni di canto, lusingandole con promesse di gloria. Giannetta, Agata e Rosa abboccano; questâultima si consola della presunta vedovanza con il conte di Belprato e con il vecchio Don Marco. Ma Carlino torna inaspettatamente e apprende di quegli intrighi amorosi. La vicenda si snoda quindi tra i battibecchi delle contadine, che si contendono il ruolo di âprima donnaâ, le peripezie dei loro amanti e le velleitĂ artistiche di Bucefalo; il culmine giunge nel terzo atto, allorchĂŠ il maestro di musica allestisce la sua nuova opera. Rosa ne è la âprima donnaâ ma, proprio al momento della sua entrata in scena, ecco comparire Carlino che reclama la moglie, creando lo scompiglio generale. Don Bucefalo si dispera per il fallimento della prova; Agata e Giannetta, invidiose di Rosa, esultano per la sua imminente punizione; il conte trema. Naturalmente tutto finisce per il meglio e Rosa si pente, giurando fedeltĂ al marito ritrovato.
Al protagonista sono affidate gustosegagsmusicali, non nuove ma dâeffetto, se interpretate da un buon attore (allora il ruolo venne magnificamente ricoperto da Zucchini, e divenne il cavallo di battaglia del celebre âbasso buffoâ Alessandro Bottero, che presentò lâopera a Parigi, al ThÊâtre Italien, il 9 novembre 1865). Nellâopera abbondano inventiva melodica e divertenti trovate; Cagnoni aggiorna il vocabolario di Rossini alle conquiste di Donizetti, sfrutta con oculatezza gli stereotipi del genere buffo (bassi ciarlieri, tenori e soprani lirici, cavatine in due movimenti senza il âtempo di mezzoâ, ricorso al recitativo secco e ai dialoghi in dialetto napoletano), ricorre spesso ai âparlantiâ e a una scrittura strumentale densa. Tra le pagine piĂš riuscite dellâopera (che fu ripresa con successo a Milano al Teatro Re nel 1847, alla Scala nel â48 e al Carcano nel â49) spiccano il quartetto âIo dirò se nel gestireâ, lâaria âAh! figliuol; date menteâ (Don Bucefalo), il concertato âChi mi ha tolto, poverettaâ (finale del secondo atto) e la gustosissima scena della prova dâorchestra âTrai, trai, trai, larĂ larĂ â (Don Bucefalo).
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi