Grandi festeggiamenti: Luigi XIV, da poco maggiorenne, sposa l’infanta di Spagna. Mazarino commissiona per l’occasione una nuova opera all’ormai ovunque celebrato Francesco Cavalli, invitato a Parigi con tutti gli onori. Cavalli dapprima nicchia; è vecchio, stanco, e soprattutto è memore dell’insuccesso tutto francese di ?
Egisto, ma poi accetta. Librettista il solito Buti (che aveva già collaborato all’
Orfeodi Rossi) immancabile quando è Mazarino a disporre. Purtroppo il nuovo teatro «delle macchine», che si vuole costruire per l’occasione, non è ancora pronto, e la nuova opera necessita di grandi apparenze e mutazioni. Si allestisce provvisoriamente il
Xerse, che Cavalli aveva casualmente messo in valigia. Finalmente, più di un anno dopo, il teatro viene aperto e in febbraio va in scena
L’Ercole amante. Lully, compositore ufficiale del re, farcisce i cinque atti dell’opera con qualcosa come diciotto
entrées de ballet(
étoileil festeggiato e saltellante Luigi XIV). Cavalli fa di tutto per incontrare il gusto della corte parigina: aggrava in genere le voci maschili, distribuisce sinfonie e cori ovunque, riduce al minimo i recitativi, ma niente, ai francesi non piace: bene i balli, bravo il re, belle le scene trionfali, ma la musica se va bene è giudicata noiosa. In verità i francesi da tempo mal tolleravano l’ingerenza ovunque italiana: teatri all’italiana (quelli con i palchetti), giardini all’italiana (quelli con le siepine squadrate), banchetti italiani (quelli del re), musica italiana (quella di Cavalli), commedia italiana (quella dell’arte), cardinali italiani (il Mazarino), vizio italiano (quello del cardinale), non se ne poteva più. E morto il Mazarino, pochi mesi prima, ogni occasione diventa buona per rivendicare la propria identità nazionale. Cavalli torna deluso e amareggiato, deciso a non scrivere più per il teatro (almeno fino a un paio d’anni dopo, quando andrà in scena
Scipione Affricano). Purtroppo l’opera, così traboccante di cori e macchine, prevalentemente scritta per un’orchestra a cinque parti, è troppo ingombrante per un teatro veneziano e non riuscirà a riproporsi. Anche la storia è un po’ invecchiata per il gusto lagunare, ora prevalentemente disposto a vicende storiche, eroiche o al più pastorali. Troppi dèi e affari celesti girano attorno a Ercole, poco opportunamente innamorato della bella Iole (in realtà destinata a Hyllo): partecipano infatti agli intrighi Venere, le Grazie, Giunone a cavallo del suo pavone volante, i maneggi di Nettuno e del Sonno, l’ombra di Eutyro padre di Iole assassinato da Ercole, i signori dell’Ade; c’è, è vero, qualche momento di
suspense(Hyllo fra i flutti, Ercole spacciato per morto) ma soprattutto trionfano i cori. Alla fine Ercole, fra pianeti rotanti e angeli celesti, sposa Ebe in una cerimonia che dovrebbe ricordare quella di Luigi e l’infanta. Il libretto di Buti non è il meglio che offra la letteratura dell’epoca; irresistibile per incoerenza, sviluppi abbandonati a metà ed evoluzioni del tutto inattese, non è, contrariamente all’opinione diffusa, un tipico esempio di libretto seicentesco. I motivi sono chiari: la sua attività all’estero da un lato non permetteva un confronto diretto con la produzione più recente e contemporaneamente lo obbligava a rivolgersi a un pubblico che, oltre a essere poco interessato al testo di un’opera italiana, certo non avrebbe avuto da obiettare su stile e versificazione.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi