Della prolifica collaborazione di Cavalli con Faustini (11 opere)
Egistoè il secondo nato e la prima produzione di grande successo. La fortuna fu tale che, oltre a essere portato in giro per tutta Italia (principalmente dalla compagnia dei Discordati), ebbe l’onore di un allestimento parigino (1646), presente Luigi XIV. È la prima opera di Cavalli, ma non l’ultima, a valicare le Alpi, e viene esportata per precisa volontà di Mazarino che, dall’anno precedente (con ?
La finta pazzadi Sacrati), stava pianificando un progetto di educazione all’opera italiana destinato all’annoiata corte del re. Mazarino, oltre a rigenerarsi le orecchie, voleva sfruttare gli spostamenti dei musici a scopi politici (il castrato Atto Melani fu una specie di agente segreto al suo servizio) e, non da ultimo, sperava di sistemare una buona quantità di parenti e amici musicisti venuti dall’Italia. La compagnia di Anna Francesca Costa canta così sulle note di Cavalli, ma per
Egistonon arriva il successo sperato, ché i francesi non capiscono la lingua, rimangono inorriditi dai castrati e mal tollerano l’eccessiva complessità della trama. Tant’è. In Italia per fortuna piace, anche per la ‘popolarità ’ del soggetto che meno indugia sulla mitologia, per raccontare semplicemente una favola pastorale piena di arie e canzonette come mai si era visto finora.
La storia si apre e si chiude con un curioso omaggio al mutare del tempo dove la Notte (recitativo) e l’Aurora (aria) cantano il prologo, e dove le Ore (prima, seconda, terza e quarta) punteggiano il lieto fine. I personaggi, i cui nomi ricordano il mito ma non lo percorrono, si muovono con sicura leggerezza fra le scene pastorali per merito anche della penna elegantissima di Faustini (semmai a tratti un po’ prevedibile), che ormai può farsi beffe di un Amor sciocchino: questi scende nell’Ade, si perde in una selva, che poi è quella delle donne morte per amore, loro bramano vendetta (Didone in testa), è inseguito, vola via, s’impiglia nei rami, passa di lì Apollo – cosa mi dai se ti salvo? – e così di seguito (episodio tratto da Ausonio,Cupido cruciatus). Il nucleo della storia ruota intorno all’amore infranto di due coppie (Egisto-Clori e Lidio-Climene) provocato dal capriccio di Lidio per Clori e viceversa. A complicare il tutto anche Hipparco, fratello di Climene, che attenta alla integrità (neanche tanto preservata) di Clori. L’azione precipita: Hipparco vuole liberarsi di Lidio e lo offre in pasto alla vendetta di Climene; Egisto, disperato per Clori, a quel punto impazzisce (e diversamente dalle precedenti questa scena di pazzia non è comica). Alla fine Lidio ci ripensa (con la spada alla gola), Climene si commuove, Clori si pente, Egisto si ravvede e Hipparco... be’, Hipparco niente, ma è stato cattivo.
Spiccano in questo lavoro, oltre alla scena di pazzia, due ampi lamenti, quello strofico di Egisto (II,1) e l’altro, cromatico, di Climene (II,6), e in genere la gran quantità di arie e ariette – in numero straordinario per questi anni – sintomo evidente di un favore del pubblico ormai disposto a veder cantare i propri eroi anche in situazioni più quotidiane, pastorali e sempre meno ultraterrene.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi