Nicola Manfroce, nato a Palmi Calabro il 20 febbraio 1791 e morto a Napoli il 9 luglio 1813, pochi mesi dopo il debutto di
Ecuba, la sua seconda e ultima opera teatrale, è un anello nella tragica catena dei grandi artisti scomparsi prematuramente. A differenza però di altri compositori, che pur morendo in età giovanissima avevano raggiunto una completa maturità e che ci hanno lasciato una produzione di supremo valore artistico, e non di rado imponente per quantità (è il caso di Pergolesi, e più ancora di Schubert), Manfroce fu strappato alla vita e all’arte prima che il suo talento potesse manifestarsi compiutamente. Allievo di Furno e Tritto al Conservatorio della Pietà dei Turchini di Napoli, debuttò con la cantata
La nascita di Alcide, composta per celebrare il compleanno di Napoleone ed eseguita alla corte di Napoli il 15 agosto 1809. L’anno successivo venne rappresentata a Roma la sua prima opera,
Alzira; arrivò quindi, direttamente dal Barbaja, impresario dei teatri napoletani, la commissione per
Ecuba, destinata a rimanere il canto del cigno del suo geniale e sfortunato autore.
All’epoca della guerra di Troia. Polissena, figlia del re Priamo e di Ecuba, ama l’eroe greco Achille, nonostante questi le abbia ucciso il fratello Ettore. Il matrimonio tra i due giovani viene posto come condizione di pace dai greci; spinta dal re e dal suo popolo, ormai allo stremo delle forze, Ecuba è costretta ad accettare, ma medita la vendetta. Cerca quindi di convincere Polissena a uccidere Achille durante la cerimonia nuziale: la fanciulla è sconvolta ed Ecuba, pur comprendendo che l’amore di Polissena per Achille è sincero, dichiara che porterà a termine il suo piano da sola. Polissena tenta di salvare Achille, comunicandogli di rinunciare alle nozze; ma l’eroe greco si rivolge al re e alla regina che, per opposti scopi, gli offrono il loro pieno appoggio. Ha quindi inizio la cerimonia nuziale, durante la quale Achille e Priamo confermano solennemente i reciproci impegni. Ma mentre Polissena compie un estremo tentativo di interrompere la cerimonia stessa, giunge la notizia che i greci, violando la tregua, si sono introdotti armati nella città . Ecuba e il popolo uccidono allora Achille. Polissena viene quindi rapita da un greco per essere sacrificata sulla tomba di Achille. Mentre i greci mettono a ferro e fuoco la città , Ecuba li maledice, predicendo le sventure che li attendono sulla via del ritorno in patria.
Influenzato probabilmente dallaVestaledi Spontini, approdata sulle scene napoletane proprio nel 1811, Manfroce crea un’opera perfettamente inserita nel filone dellatragédie lyrique: «[in quest’opera] si verifica quel che puntualmente si verificò ogni qual volta un autore di origine napoletana si è accostato a quel genere, di vivificarlo con una invenzione melodica di solito straripante» (Isotta). Il ‘caso Manfroce’, per molto tempo oggetto di discussione in ambito musicologico, ha finalmente trovato uno sbocco nelle riprese moderne diEcuba, che ne hanno confermato l’indiscutibile valore: la ricchezza orchestrale, l’espressività melodica, l’arditezza delle armonie e delle forme – basti pensare che lo straordinario terzo atto fu il probabile modello delMosè in Egittodi Rossini – ne mostrano con assoluta evidenza tutto il talento del compositore, acuendo ancor più il rimpianto per la sua prematura morte.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi