Dopo la
Dafnerappresentata nel 1608, Marco da Gagliano scrisse altre due opere,
Lo sposalizio di Medoro et Angelicae
La Flora, e due drammi sacri,
La regina Sant’Orsolae
La istoria di Iudit, valendosi in tutti i casi di libretti scritti da Andrea Salvadori. Ci sono pervenute le sole musiche per la
Flora, insieme a quelle della
Dafne, rappresentata nel Teatro degli Uffizi in occasione del matrimonio di Margherita de’ Medici e Odoardo Farnese, duca di Parma e Piacenza. Jacopo Peri contribuì alla realizzazione della partitura componendo la parte di Clori e le scene furono realizzate da Alfonso Parigi, di cui sono anche le cinque incisioni annesse all’edizione a stampa del libretto.
Prologo. Himeneo inneggia alle nozze di Odoardo e Margherita; le sue quattro strofe sono concepite sulla stessa base armonica, con poche varianti nella melodia, procedimento comune ai prologhi di tutte le prime opere di corte.
Atto primo. Mercurio annuncia a Berecintia, dea della fertilità e della natura, che Giove ha deciso di donare i fiori alla terra, come corrispettivo delle stelle. Zefiro confessa a Venere di essersi innamorato di una ninfa del Tirreno, Clori. Venere gli promette l’amore della ninfa, senza tener conto dei capricci di Cupido, che non intende colpire con le sue frecce Clori, ma anzi vuole renderla ostile a Zefiro.
Atto secondo. Clori dichiara a Zefiro di essere «nemica di Amore». Mercurio tenta invano di rendere più docile Cupido e quando questi si addormenta, gli sottrae arco e frecce. I satiri svegliano Cupido e si fanno beffe di lui. Anche Venere deride il figlio disarmato.
Atto terzo. «S’apre l’Inferno»: qui Cupido chiede a Plutone di concedergli la Gelosia, che promette di insediarsi nel cuore di Clori.
Atto quarto. Cupido persuade Pan a raccontare a Clori che Zefiro ha un’amante, e a fare lo stesso con Zefiro. Questi, sconvolto, decide di abbandonare la Toscana in balìa dei venti Austro e Borea.
Atto quinto. Nettuno calma i venti; Cupido lo prega di restituirgli le frecce che Venere, dopo il furto, aveva gettato in mare. Con l’intervento di Giove vengono restituiti al legittimo proprietario anche la freccia d’oro e l’arco, portati dall’aquila divina. Si celebra l’unione di Clori con Zefiro, che piangono di gioia: dalle loro lacrime nascono i fiori e Clori perciò riceve il nome di Flora.
Nonostante la semplicità del soggetto, la partitura è molto più estesa di quella dellaDafnee rivela in particolare la predilezione del compositore per i cori danzati, che assumono funzione di intermedi. Forme strofiche sono presenti con frequenza, soprattutto nel secondo atto, alcune particolarmente dense di melismi, come l’aria di Zefiro “Giovinetta che sì dolceâ€. Anche le arie ‘del sonno’ delle tre Grazie si basano sulla medesima armonia del basso, ma ognuna presenta variazioni melodiche. Clori canta un lamento, nel quinto atto, quando si crede tradita da Zefiro: la sua implorazione, “Lasciatemi ch’io mora in tanto affannoâ€, cita nel testo e nella melodia l’inizio del lamento di Arianna, celebre e più volte imitata scena centrale dell’opera omonima di Monteverdi. La vicenda del dio Pan, amante non corrisposto di Corilla e nemico, alla fine, di tutte le donne, costituisce uno dei primi esempi di episodi buffi inseriti in un’opera.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi