Ispirata al ben noto episodio tratto dal Vangelo di Luca, lâopera doveva essere rappresentata nel corso della stagione 1879-80 ma la âprimaâ fu rinviata allâinaugurazione della stagione successiva, per lâimpossibilitĂ da parte del Teatro alla Scala di scritturare un cantante in grado di eseguire la difficile parte del protagonista. Il problema venne poi risolto da Francesco Tamagno, cui lâopera è dedicata, che da allora in poi si affermò sulle scene. La prima rappresentazione suscitò un vasto consenso da parte della critica, che sottolineò lâoriginalitĂ della personalitĂ artistica di Ponchielli; malgrado questo, lâopera non riuscĂŹ a imporsi al di lĂ di alcune occasioni di circostanza (lâultimo allestimento scaligero risale al 1934, in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita del compositore).
Atto primo. Presso la valle di Gessen. Ruben attende il figlio Azaele, da tempo assente, per la celebrazione della Pasqua ebraica. Giunge invece Amenofi, un assiro diretto a Ninive; egli racconta che il giorno prima un giovane ha salvato una fanciulla del suo popolo da morte certa, suscitando in tutti ammirazione e riconoscenza (âDi Gerzabel nellâoasiâ). Questi, che è lo stesso Azaele, compare di lĂŹ a poco con la sorella di Amenofi, Nefte. Ammaliato dalle lusinghe dei due assiri e pur amando Jeftele, pupilla di Ruben, Azaele ottiene dal padre la sua parte degli averi e il permesso di partire.
Atto secondo. A Ninive. Amenofi vorrebbe uccidere Azaele sperando di avere mano libera su Jeftele, che segretamente desidera, ma Neefe, sinceramente innamorata di Azaele, si rifiuta di assecondare le mire del fratello. In seguito Amenofi vince al gioco le sostanze di Azaele; Ruben e Jeftele, giunti in cerca del giovane, assistono impotenti alla cerimonia alla quale Azaele e Amenofi, pur nella reciproca ostilitĂ , partecipano in qualitĂ di iniziati.
Atto terzo. Nel tempio di Ilia, Jeftele viene catturata e portata dinanzi ad Amenofi; questi le promette la vita in cambio dellâamore ma la fanciulla rifiuta con sdegno. Amenofi, minacciandola si allontana. Giunge Azaele, tormentato dal rimorso; riconosciuta Jeftele e constatata lâimpossibilitĂ di salvarla, il giovane si accusa alla presenza dei sacerdoti di sacrilegio e viene trascinato via per essere gettato nel Tigri.
Atto quarto. Irriconoscibile per le lunghe sofferenze patite, Azaele torna nella valle di Gessen (âTenda natalâ) e apprende che il padre, oppresso da un cupo dolore, è impazzito. Sopraggiunge Jeftele, che non tarda a riconoscere nel derelitto lâamato. Nella commozione generale, tutti rendono grazie a Dio.
Il soggetto, dai toni oratoriali ma al tempo stesso ricco di situazioni liriche, si confaceva alla personalitĂ di Ponchielli e allo scetticismo nei confronti delle possibilitĂ del dramma musicale. Nel suo disegno quasi oratorialeIl figliuol prodigopresentava episodi corali capaci di ispirare lâindubbia maestria contrappuntistica del musicista (i concertati del primo e del terzo atto, il preludio al quarto). Vari episodi, che esplicitamente si richiamano alle formule melodrammatiche piĂš tradizionali (lâarioso di Ruben âVâha un figliolo dâIsraelâ, il quintetto del finale terzo, lâaria di Amenofi âRaccogli e calmaâ), diedero modo a Ponchielli di mettere a frutto la sua non comune facilitĂ melodica e di definire ruoli vocali (soprattutto quello di Amenofi) piĂš vicini alla tradizione francese, segnatamente di Meyerbeer, che a quella di Verdi. Non mancano però pagine formalmente singolari (il racconto di Amenofi nel primo atto) e soluzioni di scrittura che preludono giĂ allo stile del primo Puccini, quali la struttura dellâarioso nellâepisodio di Ruben âVâha un figliolo dâIsraelâ e la trasformazione tematica degli episodi solistici di Jeftele nel finale del secondo atto.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi