Tra i firmatari nel 1932 del Manifesto dei musicisti italiani più tradizionalisti, nel quale tra l’altro si propugnava il ritorno a «ogni libera espansione lirica» e a «tutte le veemenze della drammaticità », nel periodo 1931-33 Ottorino Respighi intese realizzare con
La fiammaun vero e proprio ‘melodramma’, che desse una risposta alla crisi dell’opera innescata dallo sperimentalismo novecentesco. Una scelta di campo, quella di Respighi e del suo librettista di sempre, Claudio Guastalla, che va inserita nel clima restaurativo dell’opera italiana degli anni Trenta. A essa tengono dietro alcune opzioni obbligate, che determinano uno stacco tra
La fiammae lavori della prima produzione teatrale del musicista come
Belfagore
La campana sommersa. Sul piano del libretto, con
La fiammaGuastalla fornisce per la prima volta a Respighi personaggi ben delineati e non soltanto sagome simbolicamente allusive; inoltre, vi predispone un intreccio di passioni in cui, con ritmo melodrammatico, si intersecano maledizioni, invettive, morti e roghi di streghe. Un libretto in cui la spettacolarizzazione dei sentimenti adulterini della protagonista si coniuga con l’accentuazione del dannunzianesimo di seconda mano, per il quale il Guastalla non aveva mai nascosto le sue simpatie. Dal punto di vista musicale, la ritrovata via melodrammatica conduce Respighi al pieno recupero della struttura dell’opera a numeri, con arie, duetti, terzetti ed elaborati finali d’atto, nonché all’accentuazione lirica dell’elemento vocale a tutto svantaggio della scrittura sinfonica, che in alcune pagine delle opere precedenti aveva raggiunto livelli di brillantezza e di icasticità pittorica pari a quelli dei poemi sinfonici coevi. Il tutto nel contesto di un lavoro che del sincretismo stilistico, letterario e musicale, fa il punto di forza di una ricerca dell’effetto che rimane prioritaria sulla reale qualità drammatica.
«La favola dellaFiamma– scrive Guastalla nelle sue memorie – non pretendeva affatto d’esser nuova e, per ogni buon conto, io m’ero fatto premura di dire a tutti che il mio libretto e il dramma da cui lo aveva rivelato e derivato ripetevano un eterno motivo quanto quello di Fedra e di Parisina, già trattato da Euripide, da Racine, da Byron, da D’Annunzio e da cento altri minori». L’‘eterno motivo’ dellaFiamma, quello dell’amore della protagonista (Silvana) per il figlio di prime nozze (Donello) di suo marito (Basilio), si inviluppa nella protagonista con il motivo della presa di coscienza della sua vera natura di strega; l’uno e l’altro alimentano quella ‘fiamma’ dell’inquietudine che arde dentro di lei e che la porterà al supplizio finale.
Fu Respighi a pretendere un cambiamento di ambientazione all’argomento del dramma di stampo ibseniano del norvegese Wiers Jenssen dal quale è desunto il libretto, trasportandone l’azione dalle lande cupe e sinistre del nord alle ville grandiose e solenni della Ravenna bizantina, dal XIX secolo agli ultimi anni del VII secolo. Nell’operare il cambiamento di luogo ed epoca Guastalla modificò anche gli equilibri drammatici, puntando, alla maniera melodrammatica, sull’intreccio dei drammi personali di tre figure tragiche: quella di Eudossia, la vecchia madre di Basilio, implacabile nella sua ostilità verso Silvana; quella della stessa Silvana, arsa da un’inquietudine ambigua e senza scampo; quella del vecchio esarca Basilio, prigioniero di un amore troppo tardivo, che lo espone alle malie di Silvana che lentamente lo consumano.
Nelle scelte compositive di Respighi,La fiammasi configura anche come ritorno esemplare alle fonti dell’opera, per via del calco mimetico in essa attuato di alcuni veri e propri emblemi della tradizione lirica: la quasi citazione delCombattimento di Tancredi e Clorindamonteverdiano negli accenti di dolore del lamento di Silvana (“Dolce la morteâ€); i toni cupi da Azucena verdiana nell’aria della maledizione della strega Agnese (“Ah, salvami! Io sono innocenteâ€); il colore wagneriano, vagamente tristaneggiante, della scena del bacio tra Donello e Silvana e del loro duetto (“Io sono nata quella notteâ€).
Su tutto, compresa la patina arcaicizzante, retaggio del Respighi elegante trascrittore di musiche antiche, si impone però il colore bizantino, ricostruito nella riproduzione di scale e melodie orientali. Un colore che si avverte come nota dominante di ambiente già nella scena della vecchia madre Eudossia e delle ancelle in apertura dell’opera e che si incastona come macchia preziosa nei grandi finali d’atto, nei versetti innodici dei chierici in quello del primo atto, come nei cori policromi del finale ultimo. Un colore che giustamente ha fatto intravvedere nellaFiammaun sorta di «poema sinfonico intitolato a San Vitale, con cori e solisti».
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi