I cinque pannelli che costituiscono
Hamletmaschine, composta da Rihm tra il 1983 e il 1986, non seguono una trama o uno sviluppo in senso tradizionale, ma si propongono, secondo le suggestioni del testo di Müller, come un ingranaggio concepito, paradossalmente, in un solo gesto. L’esigenza di libertà espressiva è infatti un elemento che ha reso Rihm uno degli autori che più hanno innovato il teatro musicale post-espressionista. Come nell’opera da camera
Jakob Lenz(1977-78), benché con tutt’altri mezzi, l’efficacia drammaturgica è il risultato complessivo di un ascolto che Rihm ha definito «lo spirito vitale capace di avviare il meccanismo musicale». Dunque la scelta di una partitura che si basa sulle
connessioni, anziché sulla costruzione progressiva di un percorso in evoluzione, non ha nulla a che fare con il bisogno astratto di smentire la narratività . Piuttosto, le prospettive si intrecciano e si rivolgono, nello spazio e nel tempo, in tutte le direzioni, simultaneamente. Ciò che Rihm vuole ottenere, attraverso la musica, è vero teatro; non intende quindi abolire il divenire del racconto, ma restituirlo come processo unitario. La sapienza della sua scrittura, la capacità di utilizzare segni storici, tecniche d’avanguardia, situazioni di stampo dichiaratamente operistico o astrazioni surreali e oniriche, lo rendono libero dai condizionamenti
negatividi molto teatro a lui contemporaneo. In sostanza Rihm continua a credere nella comunicazione, e non esita a utilizzare con la massima spregiudicatezza ogni possibilità , mezzo o strumento a disposizione, sia esso storico o sperimentale, innovatore o addirittura archetipico: purché tutto ciò sia finalizzato all’autentica efficacia costruttiva del lavoro. D’altra parte di tutto si può parlare, a proposito di
Hamletmaschine, fuorché di eclettismo. Infatti le pause, i respiri, i simboli (del riso, del pianto, della morte), si scambiano continuamente le parti con la complessità psicologica, filosofica o politica di personaggi teatrali (Amleto e Ofelia) o storici (Marx, Lenin, Mao). Ognuno di loro svela il suo ‘doppio’ non solo nella distribuzione delle parti affidate a voci o personaggi differenti, ma anche e soprattutto nel reticolo di analogie, contrasti, rimandi, echi e prefigurazioni del tessuto orchestrale e vocale. Abbiamo così un vero e proprio atto operistico come il primo quadro (‘Album di famiglia’), ove il ruolo di Amleto è ripartito tra due attori e un baritono; oppure (è il caso della seconda parte, ‘L’Europa della donna’) un monodramma ricco di effetti chiaroscurali, che nascono dalle increspature del tessuto musicale. Dopo lo Scherzo «che non è uno scherzo», che con il gioco delle moltiplicazioni psicologiche e acustiche suggerisce l’incedere ipnotico di una scansione visionaria, negli ultimi due episodi gli organismi creativi, tecnologici e biologici svelano profonde affinità con il procedere ineluttabile, secondo regole che parrebbero irrazionali ma hanno una loro logica interna, di una macchina del potere che alimenta guerre, miserie, epidemie. Le voci registrate (incisioni storiche di manifestazioni, adunate sportive, parate, catastrofi vere e simulate), la spazializzazione implicita nella stessa scrittura, il
movimentocome parte integrante nella disposizione dei campi armonici e del materiale timbrico, tutto contribuisce a un evento che rivendica la sua soggettività come simbolico strumento di riscatto individuale e collettivo.
Hamletmaschineci spinge in tal modo a uscire da ogni vincolo precostituito, compreso quello di una visione unidirezionale della storia e dell’arte. Il ‘tempo circolare’ di Rihm regala invece alla forma musicale un carattere eterno e istantaneo, secondo la profezia di Nietzsche; e il pubblico, catturato dalla bellezza trasfigurata dei materiali e dalla complessità – resa unitaria e comprensibile – della loro articolazione, assiste a un teatro musicale nuovo, che sollecita i meccanismi ancestrali della percezione e della narrazione.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi