Per il suo primo approccio con il teatro Orff scelse un soggetto fiabesco, elaborato dai fratelli Grimm e particolarmente propizio all’individuazione di quei caratteri di elementarità archetipica intrinseci alla narrativa popolare. Il sottotitolo
Ein kleines Welttheater(Un piccolo
theatrum mundi) occhieggia al dramma barocco, contessuto di cielo e inferno, domini sovrannaturali e prode terrene; ma se del dramma barocco era propria la volontà di stupire, qui il sostrato folcloristico annulla ogni senso di sorpresa, riconducendo anche gli eventi più improbabili alla dimensione di una pacifica accettazione tipica della
naïvetéfiabesca. D’altra parte la rozza bonomia con cui si guarda al regno dei morti, o il ritratto furbesco e tutto terrestre di Petrus, lambiscono addirittura i dominî espressivi della ‘moralità ’ medioevale; niente di più lontano dalla sublimazione romantica della fiaba, sostituita qui da una
grossièrecontadinesca alla Grimmelhausen.
Quattro giovani di un paese immerso nelle tenebre rubano la luna appesa a una quercia del villaggio vicino; alla loro morte ognuno porta nella tomba un quarto della luna rubata, con il risultato di lasciare i viventi al buio e di sconvolgere il riposo dei morti, risvegliati dall’inconsueto lucore. Interviene Petrus, sorta di guardiano notturno dell’universo; ma anziché rimbrottare i defunti ribelli (come accadeva nella versione di Grimm), Petrus scende fra loro e ne incoraggia l’orgia a forza di boccali ricolmi, finché i morti, esausti, si riaddormentano definitivamente. Ora la luna è di nuovo ben salda sulla volta celeste, mentre un bambino constata senza scomporsi il ritorno degli eventi alla normalità (“Ah, da hängt der Mond!â€, Ecco là la luna!).
L’opera è scandita dal progressivo evolversi delle fasi lunari, riconducendo in tal modo la vicenda alla regolare naturalezza del respiro cosmico; un altrotrait d’unionè costituito dalla presenza del narratore, che richiama ancora una volta al teatro del Medioevo, ma che nello stesso tempo lascia trapelare la propensione all’oratorio insita nella drammaturgia di Orff. La caratteristica iterazione di ritmi ostinati si attaglia al tono popolare del soggetto, sfogandone la gestualità latente in una serie di canzoni a ballo, cui tale circolarità di incisi si addice particolarmente: persino la danza finale dei morti non ha niente di macabro, ma fonde reminiscenze di valzer viennesi con bacchiche salacità . La scrittura corale di Orff, omoritmica e restia agli impasti polifonici, sfrutta anche in questo caso la contrapposizione di gruppi ben distinti: da un lato le voci maschili, spesso con grottesche sottolineature di fagotti e contrabbassi, non di rado fissate nella pietrificata ripetizione dinonsense, dall’altro il cristallo delle voci bianche, sostenute da Gläserspiel, glockenspiel, armonica a bicchieri e strumentini tintinnanti. Petrus è contraddistinto dal richiamo del corno e dal motto “Ihr Leute, laßt euch sagenâ€, che diventa quasi il simbolo dell’opera; per le sue apparizioni a metà fra il boccaccesco e il minaccioso, Orff impiega anche la macchina dei tuoni e quella del vento; i momenti di chiarità lunare, invece, coincidono con trasparenze di cetra, con effetti di insolita soavità nel ridondante panorama strumentale orffiano.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi