Lucrezia, ultima opera teatrale di Respighi, si colloca nel filone fortunato negli anni Trenta dei lavori ispirati al mito della romanità , accanto, tra gli altri, al
Neronedi Pietro Mascagni, a
Giulio Cesaree
Antonio e Cleopatradi Gian Francesco Malipiero. La leggenda alla quale in questo caso si ispirò il librettista Claudio Guastalla è quella narrata da Tito Livio, poi ripresa da Shakespeare: la casta Lucrezia, moglie di Collatino, subisce violenza da parte di Tarquinio e si suicida, protestando col suo gesto per l’omissione di vendetta del padre e dello sposo; ma la sua salma, portata per le vie di Roma, spinge il popolo alla sollevazione contro il tiranno Tarquinio, che viene scacciato dalla città . Come già in
Maria Egiziaca, anche in
Lucrezial’argomento dell’antica leggenda ispira sia a Guastalla sia a Respighi scelte arcaicizzanti. Il primo fa ampio uso nel libretto di soluzioni metriche classiche. Da parte sua Respighi stende sulla partitura un velo vocale e strumentale di antica essenzialità ; tendendo inoltre ad attenuarne la natura drammatica con l’impiego di una parte di narratore (‘la Voce’) che dall’orchestra, quasi in dialogo con gli strumenti, commenta e integra le fasi dell’azione rappresentata per ‘momenti scenici’, culminanti nella preghiera di Lucrezia prima del suicidio (“Lare, non me che salvata non haiâ€). Nelle intenzioni degli autori
Lucreziaavrebbe dovuto costituire una sorta di dittico con
Maria Egiziaca; come scrisse Guastalla, due lavori centrati su figure femminili «egualmente e diversamente esemplari: l’una per fede e l’altra per castità ». La partitura rimase però incompiuta alla morte del musicista (17 aprile 1936) e toccò alla moglie Elsa Respighi – insieme a un giovane allievo, Ennio Porrino – portarla a termine, sulla base degli appunti lasciati dal maestro.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi