A differenza di quanto avevano fatto pochi anni prima Piccinni, Sacchini e Salieri, Cherubini entrò nella vita operistica parigina non attraverso la porta principale della
tragédie lyrique, bensì da quella laterale dell’
opéra-comique. A Parigi il musicista fiorentino era arrivato nel 1786, su invito di Giovanni Battista Viotti, e aveva tentato senza grande fortuna la carta dell’opera tragica. L’insuccesso di
Démophoon, alla fine del 1788, lo convinse a ripiegare sul genere comico, tanto più che Viotti – a quell’epoca anche impresario, oltre che virtuoso di violino – lo chiamò a lavorare nel ‘Théâtre de Monsieur’ da lui fondato sotto la protezione del conte di Provenza, fratello del re. Il repertorio del teatro di Viotti, in rue Feydeau, comprendeva sia l’opera buffa italiana, sia l’
opéra-comique: genere, quest’ultimo, in trasformazione e sempre più disposto ad accogliere soggetti eroici. Sotto tal punto di vista il caso di
Lodoïska, prima opera scritta da Cherubini per il Feydeau, è pienamente rappresentativo.
La vicenda è ricavata da un romanzo amoroso pubblicato a puntate poco tempo prima, nel quale si trova inserita sotto forma di storia nella storia. Un nobile polacco, opponendosi per motivi politici all’unione tra il conte Floreski e la propria figlia Lodoïska, ha affidato la giovane all’amico barone Dourlinski. Questi è in realtà un uomo malvagio e vorrebbe far sua Lodoïska approfittando della morte del padre. Frattanto, accompagnato dal servo Varbel, Floreski gira la Polonia in cerca dell’amata. L’opera ha inizio nel momento in cui i tartari capeggiati da Titzikan si apprestano ad assalire il castello per vendicarsi dei soprusi patiti in passato da parte di Dourlinski. Floreski guinge nei paraggi e in seguito a un duello cavalleresco ottiene la stima e l’alleanza dei tartari. Nello stesso castello è tenuta prigioniera Lodoïska, che invoca aiuto dall’alto di una torre. Il servo Varbel escogita uno stratagemma: lui e il suo padrone si fingeranno fratelli della giovane e ne chiederanno al barone la restituzione. Così fanno, ma vengono smascherati e a loro volta imprigionati, fino a che l’assalto dei tartari, l’incendio del castello e la cattura del malvagio sgombrano la via al lieto fine.
Il tema della liberazione dalla prigionia non era nuovo nell’opéra-comique, avendolo già trattato anni addietro vari musicisti francesi (Monsigny, Grétry, Dalayrac), ma nel decennio 1790 esso conosce una diffusione senza precedenti, dando vita al genere del cosiddettoopéra à sauvetage, culminante nel 1805 con l’apparizione altissima e isolata delFideliobeethoveniano. LaLodoïskadi Cherubini ne costituisce una delle manifestazioni più significative oltre che precoci, subito seguita da altri lavori sul medesimo soggetto e con il medesimo titolo. Uno di essi,Lodoïska ou Les Tartaresdi Rudolphe Kreutzer, fu messo in scena a Parigi già pochi giorni dopo, il 1 agosto; altri successivi sono i melodrammi di Stephen Storace (Lodoiska, 1794) Giovanni Simone Mayr (1796) e Luigi Caruso (1798,La Lodoiska), nonché i balli di Paolino Franchi nel 1795 e di Lorenzo Panzieri nel 1797.
Il vasto successo di pubblico ottenuto dall’opera di Cherubini trovò un’eco nella critica, che si dimostrò consapevole della carica rivoluzionaria insita nella musica. I giornali dell’epoca non lodarono solo la grandiosità scenografica dello spettacolo o l’abbondanza di brani d’insieme (fattore quest’ultimo, che permette di avvicinareLodoïskaall’opera buffa italiana dell’epoca), ma anche il grado di elaborazione della musica. Nessun’opera francese, in effetti, aveva mai rivelato uno sfruttamento tanto ardito dei mezzi armonici, né un impiego così ampio e drammaturgicamente funzionale del linguaggio sinfonico, modellato sull’esempio di Haydn e Mozart. Nei brani d’azione la tecnica compositiva lascia intravedere in controluce procedimenti da opera buffa (riduzione delle parti vocali a semplice sillabato sopra un tessuto strumentale autonomo e in perenne movimento), ma il discorso orchestrale possiede una complessità elaborativa che trova eguali solo nel sonatismo classico. La veemenza dell’invenzione tematica e l’armonia irta di cromatismi e diversioni eccentriche danno alla partitura un carattere febbrile, persino sovraeccitato, anche quando il libretto sembra proporre situazioni da commedia: è il caso del finale secondo, dove la trovata del sonnifero nel vino e dei bicchieri scambiati, escogiatata dal furbo Varbel, assume un colore sinistro, un’inquietudine latente che anticipa il successivo cataclisma sonoro in corrispondenza dell’imprigionamento. In cambio di una tensione espressiva così alta Cherubini rinuncia consapevolmente al canto. Anche nei luoghi deputati alla contemplazione, qual è per esempio la grande aria in due tempi della protagonista all’inizio del secondo atto (“Hélas! dans ce cruel asileâ€), lo sfogo melodico pare volutamente frenato dal predominio strumentale e dalla laboriosità armonica.
Il successo diLodoïskarappresentò per Cherubini la conquista della scena operistica francese, nonché l’inizio di una fortuna internazionale (almeno nei paesi tedeschi, dove l’opera circolò a lungo). Per quanto riguarda le riprese moderne, in Italia gli unici allestimenti (escludendo alcune esecuzioni in forma di concerto) si sono verificati alla Scala: uno nel 1950 in traduzione italiana e uno nel 1991 in versione originale (diretto da Riccardo Muti).
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi