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Mondo della luna, Il
Dramma giocoso in tre atti di Carlo Goldoni
Musica di Joseph Haydn 1732-1809
Prima rappresentazione: EsterhĂĄza, 3 agosto (?) 1777

Personaggi
Vocalità
Buonafede
Baritono
Cecco
Tenore
Clarice
Soprano
Ecclitico
Tenore
Ernesto
Contralto
Flaminia
Soprano
Lisetta
Contralto
Note
Dopo aver intonatoLo spezialeeLe pescatrici, Haydn intraprese con quest’opera la sua ultima fatica goldoniana. Il libretto (di ventisette anni prima) venne in grande misura rispettato: solo dalla scena 14 del secondo atto Haydn assunse il testo del finale secondo già utilizzato da Gennaro Astarita nella sua versione veneziana del dramma (teatro San Moisè, 1775), integrandolo con un coro differente. Il lavoro andò sicuramente in scena il 3 agosto 1777 per le nozze del secondogenito del principe Esterházy, il conte Nicolaus; dai documenti disponibili non è tuttavia da escludere che un’esecuzione fosse avvenuta già in luglio. Questa vasta opera (per il soggetto ?Il mondo della lunadi Galuppi) si apre su una scena adeguatamente elaborata: ambientata nell’atmosfera suggestiva della notte lunare, esordisce con un incantevole coro degli scolari di Ecclitico “O luna lucente”, dolce, rarefatto, leggiadro (forse volutamente ‘lunare’) e prosegue con il dialogo tra Buonafede ed Ecclitico a proposito del telescopio. L’esperimento viene scandito da una triplice pantomima, cui reagisce di volta in volta Buonafede, che descrive strabiliato le originali e piccanti scenette viste attraverso la lente. Questo è solo il primo momento in cui l’azione viene seguita con totale aderenza scenica dalla musica. Rimarchevole a questo proposito la cura riservata ai recitativi accompagnati, come quello di Buonafede in procinto di partire per la luna “Mondo, mondaccio mio, per sempre t’abbandono”, che imita gli effetti dell’elisir («Oh, che babbione!», commenta Ecclitico), oppure il successivo finale primo, un vero capolavoro di mimesi musicale: bevuto l’elisir, Buonafede si convince di star volando (“Vado, vado, volo, volo”, negli splendidi versi goldoniani) e gli archi imitano, con un disegno etereo, il suo andamento svolazzante, leggero e sospeso nell’aria. All’orchestra vengono affidate – in quantità del tutto straordinaria nella produzione teatrale haydniana – altre notevoli occasioni nel secondo atto: il carattere dilocus amoenusdi questo mondo utopico settecentesco è rappresentato attraverso una delicata musica orchestrale a sé stante (la musica dei balletti pastorali e una solenne marcia per l’arrivo del corteo imperiale) e addirittura attraverso un’aria con balletto che vede protagonista il solito Buonafede, felice per questo eden naturale in cui si è ritrovato e circondato nelle sue evoluzioni vocali da un agguerrito gruppo di legni che imitano il canto degli uccelli (“Che mondo amabile”). L’orchestra impiegata da Haydn è di notevole entità: i fiati consistono in altrettante coppie di flauti, oboi, fagotti, corni e trombe. Mancano i clarinetti (che il compositore escluse deliberatamente, visto che non erano disponibili a Esterháza), mentre sono presenti i cerimoniali timpani. Tanta imponenza fonica trova adeguato impiego nella sinfonia d’apertura, un singolo movimento di grande valore, complesso e ben chiaroscurato, che Haydn utilizzò in seguito come primo tempo dellaSinfonian. 63 ‘La Roxelane’. Ma anche nelle arie l’orchestra non rimane per nulla sullo sfondo, amplificando coi clangori del più aggiornato sinfonismo la parte vocale (si veda ad esempio l’aria di Ecclitico “Un poco di denaro”). Per le due ‘parti serie’ dell’opera (Flaminia ed Ernesto), Haydn ha scritto musica di altissimo valore, come la grande aria in do maggiore della prima, “Ragion nell’alma siede”, gratificata dall’esteso impiego di virtuosistiche colorature e da un’intensa sezione centrale in do minore; e anche le arie di Ernesto “Begli occhi vezzosi”, distesa dolcemente su un tappeto orchestrale quieto ed eppure fremente, o la più antiquata “Qualche volta non fa male”. L’importanza dell’opera è rilevabile da diverse altre considerazioni: l’allestimento richiede, a differenza di molte opere buffe coeve, scenografie elaborate e complesse, adatte a uno spettacolo che comprende il ballo e pretende di fingere un’ambientazione del tutto originale, addirittura extraterrestre. Il compositore ha risposto alla concezione grandiosa del libretto con un partitura altrettanto ambiziosa: si tenga presente, ad esempio, che il celebre finale secondo (“Al comando tuo, lunatico”) consta di ben 437 misure, articolate in cinque sezioni che via via accelerano l’azione sino al parossismo conclusivo (dopo questa monumentale conclusione d’atto, basterà un quarto d’ora all’atto successivo per terminare l’opera traendo sbrigativamente le fila di quanto sino ad allora tramato). Tutta la costruzione della partitura si basa inoltre su un piano armonico organico, semplice ma efficace: attorno alla tonalità di mi bemolle maggiore orbita il mondo lunare (inizio dell’opera, termine dell’esperienza al periscopio, finale primo), mentre do e re maggiore costituiscono i suoi antagonisti. L’opera è stata ripresa in tempi moderni, secondo l’edizione critica della partitura, da Carlo Maria Giulini al Festival d’Olanda nel 1959.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

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