Dopo aver intonato
Lo spezialee
Le pescatrici, Haydn intraprese con questâopera la sua ultima fatica goldoniana. Il libretto (di ventisette anni prima) venne in grande misura rispettato: solo dalla scena 14 del secondo atto Haydn assunse il testo del finale secondo giĂ utilizzato da Gennaro Astarita nella sua versione veneziana del dramma (teatro San Moisè, 1775), integrandolo con un coro differente. Il lavoro andò sicuramente in scena il 3 agosto 1777 per le nozze del secondogenito del principe EsterhĂĄzy, il conte Nicolaus; dai documenti disponibili non è tuttavia da escludere che unâesecuzione fosse avvenuta giĂ in luglio. Questa vasta opera (per il soggetto ?
Il mondo della lunadi Galuppi) si apre su una scena adeguatamente elaborata: ambientata nellâatmosfera suggestiva della notte lunare, esordisce con un incantevole coro degli scolari di Ecclitico âO luna lucenteâ, dolce, rarefatto, leggiadro (forse volutamente âlunareâ) e prosegue con il dialogo tra Buonafede ed Ecclitico a proposito del telescopio. Lâesperimento viene scandito da una triplice pantomima, cui reagisce di volta in volta Buonafede, che descrive strabiliato le originali e piccanti scenette viste attraverso la lente. Questo è solo il primo momento in cui lâazione viene seguita con totale aderenza scenica dalla musica. Rimarchevole a questo proposito la cura riservata ai recitativi accompagnati, come quello di Buonafede in procinto di partire per la luna âMondo, mondaccio mio, per sempre tâabbandonoâ, che imita gli effetti dellâelisir (ÂŤOh, che babbione!Âť, commenta Ecclitico), oppure il successivo finale primo, un vero capolavoro di mimesi musicale: bevuto lâelisir, Buonafede si convince di star volando (âVado, vado, volo, voloâ, negli splendidi versi goldoniani) e gli archi imitano, con un disegno etereo, il suo andamento svolazzante, leggero e sospeso nellâaria. Allâorchestra vengono affidate â in quantitĂ del tutto straordinaria nella produzione teatrale haydniana â altre notevoli occasioni nel secondo atto: il carattere di
locus amoenusdi questo mondo utopico settecentesco è rappresentato attraverso una delicata musica orchestrale a sĂŠ stante (la musica dei balletti pastorali e una solenne marcia per lâarrivo del corteo imperiale) e addirittura attraverso unâaria con balletto che vede protagonista il solito Buonafede, felice per questo eden naturale in cui si è ritrovato e circondato nelle sue evoluzioni vocali da un agguerrito gruppo di legni che imitano il canto degli uccelli (âChe mondo amabileâ). Lâorchestra impiegata da Haydn è di notevole entitĂ : i fiati consistono in altrettante coppie di flauti, oboi, fagotti, corni e trombe. Mancano i clarinetti (che il compositore escluse deliberatamente, visto che non erano disponibili a EsterhĂĄza), mentre sono presenti i cerimoniali timpani. Tanta imponenza fonica trova adeguato impiego nella sinfonia dâapertura, un singolo movimento di grande valore, complesso e ben chiaroscurato, che Haydn utilizzò in seguito come primo tempo della
Sinfonian. 63 âLa Roxelaneâ. Ma anche nelle arie lâorchestra non rimane per nulla sullo sfondo, amplificando coi clangori del piĂš aggiornato sinfonismo la parte vocale (si veda ad esempio lâaria di Ecclitico âUn poco di denaroâ). Per le due âparti serieâ dellâopera (Flaminia ed Ernesto), Haydn ha scritto musica di altissimo valore, come la grande aria in do maggiore della prima, âRagion nellâalma siedeâ, gratificata dallâesteso impiego di virtuosistiche colorature e da unâintensa sezione centrale in do minore; e anche le arie di Ernesto âBegli occhi vezzosiâ, distesa dolcemente su un tappeto orchestrale quieto ed eppure fremente, o la piĂš antiquata âQualche volta non fa maleâ. Lâimportanza dellâopera è rilevabile da diverse altre considerazioni: lâallestimento richiede, a differenza di molte opere buffe coeve, scenografie elaborate e complesse, adatte a uno spettacolo che comprende il ballo e pretende di fingere unâambientazione del tutto originale, addirittura extraterrestre. Il compositore ha risposto alla concezione grandiosa del libretto con un partitura altrettanto ambiziosa: si tenga presente, ad esempio, che il celebre finale secondo (âAl comando tuo, lunaticoâ) consta di ben 437 misure, articolate in cinque sezioni che via via accelerano lâazione sino al parossismo conclusivo (dopo questa monumentale conclusione dâatto, basterĂ un quarto dâora allâatto successivo per terminare lâopera traendo sbrigativamente le fila di quanto sino ad allora tramato). Tutta la costruzione della partitura si basa inoltre su un piano armonico organico, semplice ma efficace: attorno alla tonalitĂ di mi bemolle maggiore orbita il mondo lunare (inizio dellâopera, termine dellâesperienza al periscopio, finale primo), mentre do e re maggiore costituiscono i suoi antagonisti. Lâopera è stata ripresa in tempi moderni, secondo lâedizione critica della partitura, da Carlo Maria Giulini al Festival dâOlanda nel 1959.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi