La produzione teatrale di Perti, pur cospicua, si limita a un arco temporale di una trentina dâanni, e conta allestimenti un poâ dovunque, con una predilezione veneziana nel primo periodo e saldi contatti fiorentini nel secondo. Negli ultimi quarantacinque anni di vita Perti non sembra abbia scritto nulla per la scena, e purtroppo della trentina di titoli a noi noti solo di sei o sette è sopravvissuta anche la musica (tutti lavori scritti nei primi anni dâattivitĂ ). Delle opere composte per il teatro di Pratolino, commissionate da Ferdinando deâ Medici, a sostituire quelle non piĂš di moda di Alessandro Scarlatti, sono rimasti solo i libretti, e spesso neanche quelli. Fra i lavori teatrali del periodo precedente spicca per originalitĂ e impegno compositivo la partitura di
Nerone fatto Cesaresu testo di Matteo Noris, librettista prediletto da Perti in questi anni. Il soggetto, frequentatissimo a Venezia fin dallâ
Incoronazionemonteverdiana, non indugia sulle dissolutezze dellâimperatore, ma su quelle della madre Agrippina. I due, madre e figlio, si ritrovano a portar scompiglio nella coppia Ate/Pallante: Agrippina fa follie per aver Pallante quale sposo e pur Nerone, ma con modi piĂš garbati, smania per Ate. SarĂ Seneca a riportare lâimperatore a piĂš miti consigli, permettendo ad Ate e Pallante una felice unione. Lâopera, sebbene priva di situazioni comiche (ormai sempre meno presenti in quegli anni, e presto limitate solo agli intermezzi), non vuol essere satira politica, magari riproponendo le efferatezze di altri illustri precedenti (non solo Monteverdi, ma anche Carlo Pallavicino â
Nerone, Venezia 1679 â o Giovanni Antonio Gianettini â
Lâingresso alla gioventĂš di Claudio Nerone, Modena 1692), e preferisce toni piĂš leggeri, riscontrabili, fra lâaltro, anche nella musica. Perti opera chiaramente un tentativo di adeguamento ai canoni dellâopera veneziana, benchĂŠ mediata da influenze proprie di scuola romana e comunque di un compositore avvezzo al repertorio sacro (Perti fu quasi per tutta la vita Maestro di cappella a San Petronio in Bologna). Spiccano i recitativi scritti con cura, attenti al significato della parola e allâespressivitĂ della frase. Le arie sono in genere brevi, ma sempre col
da capoe si fanno notare per eleganza e chiarezza melodica. Lâorchestra che, come dâuso non va oltre le quattro parti, è scritta con cura e oltre a esser presente nei balli (dove sembra potersi riscontrare unâinfluenza francese) e nei ritornelli (la sinfonia di apertura dellâopera è invece attribuita a Giuseppe Torelli) in alcuni casi ritorna fra lâuna e lâaltra frase allâinterno della singola aria (per esempio âDestra del sol châadoroâ, I,2, cantata alternativamente da Pallante e Ate). Presenti anche la scrittura con strumento obbligato (come lâaria quasi guerriera di Nerone âDâAmore le saetteâ, con tromba concertante) con lâutilizzo del tutto insolito dellâunisono in chiave drammatica. Ma
Nerone, fra le altre cose è da ricordare per lâimpiego, portata allâestremo, della tecnica del concerto grosso, in base alla quale un ristretto gruppo strumentale di solisti dialoga col âtuttiâ dellâorchestra: nel âTrionfo dâamoreâ che apre il terzo atto viene infatti prescritto lâutilizzo di due distinte orchestre, una in palco di soli legni e violoncelli e lâaltra fuori di trombe e archi. Qui Nerone e Ate, nei panni mitologici rispettivamente dâAmore e Psiche (accompagnati da Piacere, Diletto e Lusinga), inscenano un mascherata mitologica di grande effetto scenografico. Delle due partiture sopravvissute quella romana (col titolo
Nerone infante) pur incompleta, presenta un intermezzo comico dâautore ignoto (con Tisbe e Cupido fra i personaggi) in sostituzione di tale scena allegorca forse troppo complessa.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi