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Orsèolo
Dramma in tre atti proprio
Musica di Ildebrando Pizzetti 1880-1968
Prima rappresentazione: Firenze, Teatro Comunale, 4 maggio 1935

Personaggi
Vocalità
Alvise Fusinèr
Baritono
Andrea Grimani
Basso-Baritono
Cate
Mezzosoprano
Contarina Orsèolo
Soprano
Delfino Fusinèr
Tenore
due vecchie
Mezzosoprano-Contralto
il doge
Basso
il Rosso
Tenore
il senatore Michele Soranzo
Baritono
la balia Levantina
Mezzosoprano
la Levantina
Contralto
la madre superiora
Mezzosoprano
Lazaro
Tenore
Luca
Basso-Baritono
Marco Orsèolo
Basso
Marino Orsèolo
Tenore
Nicolò
Tenore
Rinieri Fusinèr
Tenore
Toni
Basso-Baritono
un gentiluomo
Tenore
un giovane mascherato
Tenore
un servo di casa Grimani
Basso
un servo di casa Grimani
Tenore
un servo di ca’ Orsèolo
un vecchietto
Basso-Baritono
un vecchio
Basso
un vecchio pescatore
Basso
un vecchio senatore
Basso
una giovane donna
una ragazza
una vecchia dama
Mezzosoprano
una voce lontana
Tenore
voce di un gondoliere
Tenore
Note
Commissionata direttamente da Mussolini al musicista per il Maggio musicale fiorentino del 1935, l’opera segna una svolta nella produzione teatrale del compositore parmense: un teatro compromesso con il dramma borghese si sostituisce ora al teatro-mito caratterizzante la prima fase, poi ripreso neL’oro. Con esso fa il proprio ingresso la storia, una presenza già manifestatasi inFra Gherardoma ora elevata a dignità di essenza del dramma. Non una storia intesa come contingenza narrativa, come cronaca, ma come dramma politico e sociale. È la vicenda di una Venezia impegnata nella guerra di Candia, in piena decadenza, minata dalle lotte interne fra una vecchia aristocrazia – un mondo che muore – e un nuovo patriziato che nasce, forse troppo tardi. Marco Orsèolo e Rinieri Fusinèr sono espressioni di questi due mondi, e attraverso la costruzione del cupo dramma d’interni che vede intrecciarsi il loro destino rivive la Venezia seicentesca e barocca, risonante di voci indolenti, percorsa da un’umanità varia e stremata.

Atto primo. Venezia, verso la metà del XVII secolo. Il senatore Soranzo informa Marco Orsèolo che il suo nemico Rinieri Fusinèr, pure membro del Consiglio dei Dieci, lo accusa di aver rapito la sorella Cecilia. Marco respinge con sdegno le accuse ma, poco dopo, riceve una confessione dal figlio Marino: è stato lui, con alcuni amici, ad aver rapito la fanciulla, poi annegata mentre tentava di fuggire. Adirato, il padre intima al figlio di abbandonare la città. Quella sera, mentre partecipa a un ballo con la figlia Contarina, Marco viene pubblicamente ingiuriato da Rinieri e nasce un tumulto. Durante la stessa festa i fratelli Fusinèr, all’insaputa di Rinieri, rapiscono Contarina e la conducono in una capanna di pescatori.

Atto secondo. Quando Rinieri viene a conoscenza del rapimento, si reca alla capanna e ordina ai fratelli di rilasciare la giovane: ne nasce un litigio, cui pone fine l’arrivo di Marco. Contarina, affascinata dal nobile comportamento di Rinieri, supplica il padre di porre fine alle vendette e, quando quest’ultimo si mostra irremovibile, dichiara di aver seguito volontariamente Rinieri perché innamorata di lui. Il padre la ripudia ed ella si chiude in convento.

Atto terzo. Rinieri, in procinto di partire per la guerra contro i Turchi, fa visita a Contarina e le confessa il proprio amore. Malgrado lo ricambi, la giovane dichiara di volersi dedicare a una vita d’espiazione. Poco tempo dopo un’ambasceria porta a Marco la spada di Marino, morto combattendo gli infedeli. Quando Rinieri, che fa parte della delegazione, gli vuol porgere alcuni oggetti del figlio, il vecchio rifiuta dichiarando di non poterli accettare dalle mani di un nemico. In quel momento la spada si spezza misteriosamente: segno, secondo un’antica leggenda, di pace. Marco rinuncia allora all’odio, ma è giunto per lui il momento del drammatico distacco dal mondo. Rinieri torna a volgersi fiducioso a Contarina, nel frattempo riammessa in casa; ma la giovane comunica di voler continuare la sua vita di rinunce: la solitudine avvolgerà anche il destino di Rinieri.

Figura centrale del dramma è Marco Orsèolo, il padre diviso fra rigido senso del dovere e amore filiale, il vecchio che vive con desolazione e in solitudine lo sfaldarsi del suo mondo, senza alcun gesto di fiducia o di speranza. E quel mondo gli scorre intorno, con i suoi forti contrasti, in un gioco di chiaroscuri: il festeggiamento del carnevale interrotto dal coro dei soldati pronti a partire per l’Oriente, la ninna-nanna di una giovane madre cui si sovrappongono le grida dei giocatori di dadi, la fervorosa intonazione espressa dal popolo quando si ricompone in un canto di ringraziamento (un inno su un antico e autentico testo: “O Venezia, regina del mare”). Tale descrittivismo ambientale, a un tempo anima e cornice del dramma, riceve un’attenzione nuova ed è responsabile della particolare architettura generale dell’opera: scorre infatti quasi indipendente dall’azione principale, racchiuso nella forma di due intermezzi collocati fra il primo e il secondo quadro dei due atti estremi. Due finestre che si aprono sul mondo esterno, che ritraggono frammenti della sua molteplice vita collettiva. Ne risulta un’opera improntata a grande eterogeneità, che fa ricorso a diversi mezzi scenici, vocali e orchestrali (altro fattore nuovo rispetto al passato). Non è improbabile che l’idea di un’opera come questa sia da considerarsi particolare frutto di sintesi dell’epoca nella quale vide la luce: l’elaborazione del libretto aveva occupato il compositore negli anni 1931-32, mentre la composizione, iniziata nel 1933, era stata portata a compimento l’11 marzo del 1935. La stesura dell’Orsèoloappartiene cioè a uno dei periodi più fecondi dell’attività compositiva di Pizzetti, contrassegnato da una variegata presenza di generi e soggetti (dall’Introduzione all’AgamennoneallaRappresentazione di Santa Uliva, alConcertoper violoncello, alQuartetto in re, per non citarne che alcuni). La struttura drammaturgica dell’opera, accanto agli aspetti di novità sopra accennati, tuttavia, esprime anche un rapporto di continuità con la produzione teatrale precedente nel suo mantenersi fedele all’uso del declamato, di una trama leitmotivica, del pezzo chiuso come risultato di una stretta necessità espressiva e di un certo linguaggio armonico. La critica espresse pareri fortementi contraddittori nei confronti dell’opera, rilevandovi per certi aspetti una mancata adesione ai principi fascisti, per altri una loro piena attuazione: a tali pareri, raramente scaturiti da una puntuale lettura della partitura, deve peraltro essere assegnato il circoscritto valore di testimonianza della mentalità dell’epoca. Certo è che conOrsèoloe le successiveL’oro(1938-42, prima rappresentazione 1947) eVanna Lupa(1943-47, rappresentato nel 1949), Pizzetti vive una fase di crisi, denunciata dalla lunga gestazione delle partiture.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi


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