Delle tre opere teatrali di Adriano Guarnieri, già allievo di Giacomo Manzoni ed esponente di punta della generazione degli anni Quaranta,
Orfeo cantando... tolse...è la seconda a esser stata rappresentata, essendo tuttora l’opera-film
Medea(1991) in attesa della sua ‘prima’, a causa degli alti costi di produzione dell’allestimento. Come la precedente
Trionfo della notte(1985-86),
Orfeoè pensata per un organico cameristico che comprende 21 strumenti in buca. A questi sono da aggiungere un flauto e una chitarra elettrica in scena, che rappresentano in modo allusivamente simbolico i ‘tripli’ dei personaggi di Euridice e Orfeo rispettivamente, già interpretati in scena da due soprani e due mimi contemporaneamente. Altra particolarità dell’opera è lo studio – del resto frequente nella produzione guarnieriana degli anni Novanta – dell’amplificazione e della spazializzazione elettronica delle voci e degli strumenti, cui è principalmente affidata la realizzazione, per così dire fisica, di quell’idea formale di circolarità drammaturgica che contraddistingue la scrittura più evoluta del compositore mantovano. Come in
Trionfo della notte, il libretto è costituito da una serie di citazioni di frammenti poetici desunti dalla fonte letteraria di riferimento (là la raccolta poetica di Pasolini
La religione del mio tempo, qui l’
Orfeodi Poliziano) che, se seguono l’ordine effettivo di apparizione, non presentano alcun nesso di tipo narrativo. Si tratta invece di una sequenza di frammenti scelti per la loro carica d’evocazione poetica e l’adattabilità alla musica. Solo all’interno della partitura, o meglio del raffinato progetto sonoro che la sottende (e che ne giustifica, inverandola, la particolare grafia), è infatti da ricercare la logica della successione delle ‘Dieci azioni liriche’ di cui l’opera è costituita. In parte strumentali e in parte vocali (con il fondamentale contributo di un coro madrigalistico di sei voci o fuori scena o preregistrate su nastro), tali azioni disegnano una trama formale compatta, come sempre nella musica di Guarnieri, il cui precipuo scopo è quello di restituire, in termini di un’espressività che si ispira a Schubert e a Chopin, le suggestioni eminentemente liriche del testo. Di qui il senso di un teatro volutamente paradossale e perciò modernissimo, liricamente statico in senso formale, quanto mobile nella magistrale mutevolezza dei colori sonori atti a rappresentarlo. Come ha scritto Paolo Petazzi: «Determinante appare la sensibilissima immediatezza del rapporto con la materia sonora, la centralità dell’invenzione del suono, la definizione di situazioni visionarie, iridescenti, frantumate, fluide e sospese, cariche di intensa forza evocativa, quasi di fantasmi della memoria: come se della melodia, del canto, fossero rimasti aloni, ombre, scie inafferrabili, di inquieta stabilità ».
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi