Telemann riprese il libretto messo in musica da Albinoni quasi vent’anni prima, attraverso una versione tedesca (che pure mantiene per le arie il testo italiano, parafrasando i recitativi in tedesco), inserendolo tra i titoli della sua ricca attività teatrale all’Opera di Amburgo, di cui era direttore musicale dal 1722. Gli intermezzi andarono in scena per la prima volta negli intervalli di un’opera di Händel (
Tamerlano), ma il favore del pubblico portò a repliche autonome del lavoro e alla sua pubblicazione, da parte del compositore stesso (che si occupava attivamente anche di editoria) nel 1728; Telemann avrebbe scritto anche un seguito di
Pimpinone,
Die Amours der Vespetta, rappresentato nel 1727, sempre ad Amburgo. Ancora godibilissima a livello scenico, l’operina rappresenta una storica anticipazione oltralpe della moda settecentesca dell’intermezzo (
La serva padronasarebbe stata scritta solo otto anni più tardi). Le caratteristiche di quello che diventerà il comune linguaggio buffo vi sono adottate con dovizia e pregnanza: la scrittura musicale (basata su incisi tematici di grande mobilità e vivacità , adottati anche dall’accompagnamento orchestrale) imita l’azione scenica e il dialogo concitato dei due personaggi borghesi. Pimpinone, in particolare, si configura come il prototipo del tipico basso buffo; notevole la sua aria “So quel che si dice”, che adotta un sofisticato sistema di falsetto, con l’impiego di due registri femminili differenti per parodiare le vacue chiacchiere delle donnicciole. Ancora oggi, il duraturo vigore di questo capolavoro è responsabile dell’eclissi dei pregevoli intermezzi omonimi di Tomaso Albinoni.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi