A distanza di cinque anni dalla prima rappresentazione del
Re pastore, avvenuta al castello di Schönbrunn con musiche di Giuseppe Bonno, il libretto metastasiano fu intonato nuovamente per Vienna, questa volta da Gluck. A quell’epoca il compositore collaborava frequentemente con la corte, su incarico dell’intendente dei teatri Giacomo Durazzo; occasione della composizione furono i festeggiamenti per il compleanno dell’imperatore Francesco I, l’8 dicembre. Quel giorno segnò anche la nascita del quinto figlio della coppia imperiale, l’arciduca Massimiliano, in onore del quale Mozart metterà in musica
Il re pastorenel 1775. L’argomento dell’opera ben si addiceva all’omaggio per un monarca, poiché nell’atmosfera pastorale compaiono anche riflessioni sulle qualità e i doveri di un sovrano. Metastasio aveva già contemplato la possibilità che Gluck musicasse questo suo testo, come prova una lettera al Farinelli del 6 novembre 1751, in cui il poeta proponeva il libretto per Madrid. Parlando delle eventuali modifiche da apportare alla musica di Bonno, scriveva: «Conosco ancora altri due maestri di musica tedeschi, l’uno è il Gluck, l’altro Wagenseil. Il primo ha un fuoco maraviglioso, ma pazzo...». Quando poi Gluck presentò l’opera a Vienna, il giorno della ‘prima’ Metastasio scrisse, sempre al Farinelli: «Il libro è il mio
Re pastore, la musica è del Gluck maestro di cappella boemo, a cui la vivacità , lo strepito e la stravaganza ha servito di merito in più d’un teatro d’Europa».
Il re pastorerientra nella produzione precedente la ‘riforma’ del melodramma, cui Gluck diede inizio nel 1762 conOrfeo ed Euridice: in questa fase il compositore aderisce ancora al modello drammaturgico legato ai libretti metastasiani, con netta divisione tra arie e recitativi secchi e attenzione concentrata prevalentemente sulle parti vocali. Salvo l’aria iniziale di Aminta e quella di Tamiri “Al mio fedel diraiâ€, tutte le arie sono colda capo, per dare il massimo risalto agli sfoggi virtuosistici dei cantanti; vanno poi annoverati due recitativi accompagnati (senza aria seguente) e tre finali d’atto (un duetto, un quartetto delle due coppie di innamorati e un breve coro dei cinque personaggi). Le arie, però, non sono convenzionali e presentano già una certa accuratezza nella declamazione, modellata sul testo e interrotta da pause espressive, come accade ad esempio nell’aria di Elisa “Io rimaner divisaâ€, dagli espressivi interventi degli oboi. La componente bucolico-arcadica del testo offre a Gluck l’occasione di introdurre nella musica diversi elementi pastorali, che riguardano tanto la melodia e il ritmo quanto la strumentazione. Il carattere idillico emerge soprattutto nel primo atto, quando non si delineano ancora le conseguenze della scoperta dell’identità di Aminta: l’aria di apertura (“Intendo amico rioâ€), in cui il nobile pastore parla della sua amata con il ruscello, è caratterizzata dal timbro dei flauti e dei corni. Uno dei brani più riusciti tocca non a uno dei due protagonisti, ma ad Agenore: la sua aria “Sol può dir†presenta un’introduzione strumentale in cui l’alternanza di violini e violoncelli, in scrittura imitativa, simboleggia il tragico conflitto interiore del personaggio, diviso tra l’amore e il senso del dovere.
I cantanti della ‘prima’ erano tutti di altissimo livello: le doti dei due interpreti principali, Caterina Gabrielli e Ferdinando Mazzanti, sono testimoniate dalle difficili colorature previste dalla partitura. Dopo l’allestimento viennese,Il re pastoredi Gluck non venne più rappresentato, ma questo fatto è legato al suo carattere di opera d’occasione e alle consuetudini del sistema produttivo del tempo, e non implica alcun giudizio negativo sulla composizione.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi