Scritta subito dopo
Maria d’Alessandria, l’opera segna un momento di evoluzione nella vicenda drammaturgica del compositore, che si avvia a uscire dall’orbita di Pizzetti. Il libretto di Pinelli, un autore con cui Ghedini collaborò più volte, venne criticato in occasione della ‘prima’ del 1939. Musica e libretto, comunque, subirono pesanti modifiche per la ripresa a Napoli nel 1961: nonostante avesse provveduto a riscrivere l’orchestrazione (la partitura era andata distrutta nei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale), Ghedini giudicò l’opera superata e affermò che «fa crescere la barba», anche dopo che ebbe modificato radicalmente l’ultimo atto. L’opera ebbe comunque un cordiale successo, sia a Napoli sia, in seguito, a Venezia.
Atto primo. Granada, XV secolo. Re Hassan e l’ambizioso figlio Hussein si confrontano nella sala del trono ancora deserta: quella mattina arriverà un emissario del re cristiano, e Hassan dovrà rispondere alle sue proposte. Giudicandole inaccettabili, sceglie di interrompere una pace che dura da due secoli.
Atto secondo. Il popolo, stanco della guerra, invoca pietà per i prigionieri; ma Hassan è inflessibile, e la folla lamenta la fine di Granada. Hussein, la madre Jarifa e la moglie Moraima sono prigionieri dei cristiani; a Hussein viene promessa la libertà e il potere, in cambio di suo figlio: egli, da sempre desideroso di regnare, accetta.
Atto terzo. Hassan vede la fine incombente, e acconsente ad abdicare in favore del figlio traditore. Hussein accetta senza gioia: Moraima è morta di dolore per la perdita del figlio. Ma ormai è tardi, e la cavalleria del re cristiano sta arrivando. Hassan resta solo e, sconfitto, «si raccoglie rabbrividendo sotto il mantello» (nella versione del 1961 Hassan trova invece la morte, gettandosi sulle spade dei soldati).
L’atmosfera tragica della lotta tra le ambizioni dei protagonisti, caratterizzati da rigidità inumane, ben si prestò a indurre Ghedini a risolvere «in termini di tragicità antimelodrammatica la propensione all’asprezza timbrica e armonica» (Salvetti). I toni cupi, gli ampi declamati, le dissonanze con valore timbrico e le statiche iterazioni di cellule melodiche sono interrotti solo dalle compatte scene corali e dai momenti lirici, associati alla figura di Moraima: personaggio ingenuamente legato solo al mondo degli affetti, che riesce a trascinare anche Hussein in un momento di slancio lirico, nel duetto del secondo atto, dopo una caratteristica canzone accompagnata dal liuto. Squilli di trombe e tamburi lontani affiorano spesso, a ricordare la guerra; ma questo è solo un effetto esteriore, mentre il tema del vuoto morale che caratterizza la vicenda è reso dal timbro spesso raggelato dell’orchestra, volto a rappresentare il disfacimento di un mondo: sotto questo profilo, appare quasi inopportuna la scelta dell’esteriore finale eroico nella seconda versione, preferito alla significativa desolazione dell’episodio orchestrale della prima.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi