Allievo di Max Reger, Weinberger riscosse un caloroso successo soprattutto con i suoi lavori teatrali, di cui il più fortunato fu proprio
Svanda il pifferaio. Si tratta di una
Volksoper, ovvero di un’opera che attinge liberamente al patrimonio folcloristico, sfruttando temi popolari o imitazioni ben ricalcate che vanno a inframmezzarsi al normale corso dell’azione. Nel caso di
Svanda il pifferaio, poi, le radici popolari sono tangibili persino nella scelta del soggetto, che attinge a numerose favole dell’area slavo-tedesca, collazionandole in uno spiritoso
resumé.
Atto primo. Il pifferaio Svanda riceve in casa sua, senza riconoscerlo, il celebre ladro gentiluomo Babinsky, il cui contrassegno ordinario è un polsino di camicia liso che lascia a mo’ di firma nei luoghi in cui passa per farsi poi riconoscere. Dorota lascia marito e ospite in conversazione, ma al ritorno trova solo un polsino liso; Svanda ha seguito Babinsky nel paese della regina triste che, rallegrata dal suono della cornamusa, chiede al giovane di sposarla. I due si sono appena scambiati un bacio quando sopraggiunge Dorota; irritata dall’improvvisa riluttanza di Svanda a celebrare le nozze, la regina lo condanna a morte, ma l’intervento di Babinsky strappa fortunosamente il giovane al suo destino. Di fronte ai rimproveri di Dorota, Svanda giura («Mi portasse il diavolo se mento!») di non aver baciato la regina; nello stesso istante una voragine si apre ai suoi piedi, facendolo sprofondare all’inferno.
Atto secondo. All’inferno. Il diavolo è affranto: nessun argomento riesce a distogliere Svanda dalla sua nostalgia per Dorota e a farlo suonare. Alla fine il diavolo fa sottoscrivere al nuovo ospite un contratto in cambio del quale riavrà Dorota; Svanda firma senza nemmeno leggere e si trova ad aver venduto l’anima al diavolo, situazione che lo obbliga a suonare per il nuovo padrone. Compare Babinsky, che sfida il diavolo a una partita a carte in cui riesce a barare meglio del rivale; visto che la posta in gioco era l’anima di Svanda, questi può tornare sulla terra, da Dorota, non senza aver concesso ai poveri diavoli, annoiatissimi, il piacere inconsueto di una suonatina.
Alla vivacità pittoresca della trama si unisce un nerbo incisivo nella condotta musicale; l’immagine del diavolo beffato fa ripensare agliStivalettidi Cajkovskij, oppure aLa notte di Nataledi Rimskij-Korsakov, mentre il tono familiare e bonario con cui viene dipinto l’inferno offre spunto per quadretti assai efficaci, in un brioso succedersi di gioviali incisi e di suggestioni malinconiche. Il tono sentimentale, che illustra la mestizia della regina e più oltre la nostalgia di Svanda per Dorota, si modella su inflessioni popolari, semplici ed eloquenti; l’euforia dello strepito infernale o il dinamismo tempestivo di Babinsky trovano rispondenza in continue danze (si pensi anche alla polka con cui Svanda richiama al buonumore i sudditi della regina); e il commiato amichevole dei due amici dall’inferno si riflette in una grande fuga, al suono della quale i diavoli si abbandonano a un ballo frenetico.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi