Dramma di ispirazione biblica, dal taglio epico,
Lo stranierooccupa una posizione centrale nella trilogia dedicata da Pizzetti al tema della redenzione in virtù dell’amore, completata da
Debora e Jaelee
Fra Gherardo. Composto negli anni 1923-25 (la stesura del libretto aveva occupato il musicista nel biennio 1922-23), il dramma si presenta come esito di un progetto volto alla ricerca di nuove soluzioni sul piano drammaturgico. L’assoluta essenzialità e linearità degli eventi (che rispetta i postulati dell’unità di tempo e di luogo), il numero ristretto dei personaggi che vi agiscono, il ruolo svoltovi dalla collettività ma soprattutto la presenza di un dramma che è ‘già ’ avvenuto come motore dell’azione (lo Straniero sta già espiando la sua colpa), ne costituiscono la premessa. Di qui l’idea di un’opera improntata a una staticità di stampo oratoriale, incentrata sulla dimensione del ricordo e della narrazione (l’intreccio è in massima parte presente in forma di racconto), il cui ritmo interno risulta scandito dai mutamenti – ampi o minimi che siano – vissuti dai personaggi e scaturiti dalla riflessione su quanto viene narrato.
Atto primo. In una pianura fra il paese di Ruben e quello di Moab, a oriente del Monte Nebo. Al tempo del Re dei Pastori. Il patriarca Hanoch desidera che venga offerta accoglienza a uno Straniero sconosciuto, grazie al quale il paese è stato salvato dalla carestia. Ma il gesto provoca l’ira del genero Scedeur e dei suoi, invidiosi dei festeggiamenti a lui tributati. Come segno di riconoscenza Hanoch arriva invece a esprimere il desiderio di dare in sposa allo Straniero la propria figlia minore, Maria, non curandosi della legge che prescrive il matrimonio solo fra appartenenti alla stessa stirpe e provocando ulteriormente la gelosia di Scedeur che, vedovo della prima moglie, desidera Maria per sé. Lo Straniero, commosso, si decide a rivelare il suo doloroso passato: è figlio del re Tricca e si è reso parricida per amore. La confessione turba il vecchio Hanoch che, pur rinunciando a emettere la condanna a morte, invita l’uomo a riprendere il cammino la notte stessa.
Atto secondo. Scende la notte. Lo Straniero è solo e sta per mettersi in cammino quando gli si presenta Maria. Porta un sacco da viaggio, vuole unirsi a lui e lo esorta a pregare il Dio di Israele perché lo guidi nell’affrontare il terribile deserto che circonda il villaggio. Ma egli non conosce quel Dio, dice di seguire solo la propria voce interiore che invita all’amore del prossimo, anche se questo può portare a uccidere per salvare un’innocente. Ormai spunta l’alba, risuona la tromba del Vegliatore. Da ogni parte accorre gente desiderosa di vendetta e lo Straniero, per scagionare la giovane, dichiara d’averla costretta a seguirlo. Maria gli si affianca per difenderlo mentre la folla comincia a lanciare pietre, accettando così – per amore – la morte nel nome di un unico Dio. Lo Straniero comprende allora, come per rivelazione, che l’amore per il prossimo è espressione dell’amore per il vero Dio e in punto di morte ammonisce il popolo: «Ha dato il sangue, tutto ella ha dato il suo sangue vermiglio, per insegnare agli uomini ad amare...».
È soprattutto nel primo atto che è presente la dimensione del ricordo: ne sono oggetto la narrazione dell’antefatto (il ritrovamento di uno sconosciuto ferito, i miracoli da lui compiuti) e quindi il drammatico racconto autobiografico fornito dal Senza-Nome, non potendo accettare la generosità del patriarca Hanoch senza rivelare la sua identità . Nella figura del fuorilegge parricida, che potrà vivere la propria redenzione grazie alla purezza di sentimenti e al sacrificio di Maria, è accentrata l’attenzione del dramma. Attorno a essa la collettività si esprime partecipando e anche determinando gli eventi: particolare rilievo acquista in tale contesto lo sdoppiamento in due semicori, l’uno eco e interprete delle posizioni del patriarca Hanoch, l’altro di quelle di Scedeùr. Proprio alle figure dello Straniero e della collettività Pizzetti assegna le forme chiuse del secondo atto: il canto dello Straniero “Uscire ogni mattina alla prima alba†– un momento lirico tradizionalmente operistico – e del coro finale, caratterizzato da un inizio all’unisono e dal successivo germogliare della scrittura polifonica. Lunghe e articolate forme vocali caratterizzano altri momenti del dramma, come il duetto fra Maria e lo Straniero sempre nel secondo atto, mentre la scrittura orchestrale fornisce adeguati e vividi commenti all’azione.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi