È la prima opera in musica che si ispira alle vicende della regina babilonese, soggetto subito fortunato più per le opportunità di travestimenti e scambi di ruoli offerti, che per la fama dissoluta e lasciva che era tributata a Semiramide («A vizio di lussuria fu sì rotta/ Che libito fe’ licito in sua legge»,
Inferno, V). L’opera di Cesti ebbe vicende travagliate; fu scritta durante gli anni meno stimolanti del suo soggiorno a Innsbruck, quelli sorretti dall’arciduca Sigismondo Francesco. Il successore del ben più munifico Ferdinando Carlo non commissionò alcuna opera a Cesti, che sarebbe rimasto quasi sfaccendato per oltre due anni se il principe Leopoldo di Toscana, in vista del prossimo matrimonio dell’arciduca, non gli avesse chiesto una nuova opera. Nacque
Semirami, su libretto del poeta fiorentino Giovanni Andrea Moniglia legato alla corte medicea; l’opera si sarebbe dovuta rappresentare nel settembre 1665, ma l’arciduca muore, il matrimonio salta e così pure l’allestimento. Salta anche il posto di Cesti che, senza rimpianti, è mandato a Vienna. Nel frattempo Cesti si era dato da fare con Venezia, dove era riuscito a piazzare alcune sue opere.
Semiramiera così prevista per il carnevale del 1666 al Teatro San Cassiano, ma, visti gli esiti poco felici della stagione, si preferì non rischiare riproponendo il solito
Giasonedi Cavalli (il cui successo era assicurato). Intanto, a Vienna, Cesti aveva ormai terminato
Il pomo d’oro, l’opera grandiosa che avrebbe dovuto celebrare il compleanno di Leopoldo I d’Austria e per cui si stava costruendo un teatro apposito. La data delle feste si avvicinava, ma il nuovo edificio non era ancora pronto e le circostanze obbligarono a mettere in scena un’opera scenograficamente più snella. Si pensò a
Semirami, che finalmente ebbe la sua ‘prima’ in una cornice di tutto rispetto. La vicenda, riferita da Diodoro Siculo e da altri autori, viene così ripensata da Moniglia: Semiramide, regina degli Assiri, ama la guerra e il suo generale Ireo. Da parte sua Creonte, re di Babilonia, vorrebbe impossessarsi dell’Assiria e del cuore della sua sovrana. La figlia di Creonte, Elvira, seguendo le orme del padre, spasima per un’altro membro della corte nemica, Nino, il figlio di Semiramide. Cominciano i travestimenti: Semiramide con i panni di Nino guerreggia e, senza gli stessi, amoreggia con Ireo. Elvira, in abiti da schiava, affascina Nino e, senza, lo seduce. Finisce che Creonte, sconfitto l’esercito di Semiramide, la pretenderà in sposa (lei prima non vuole, ma poi ci ripensa), tutto per la gioia dei reciproci figlioli, anch’essi ormai già con un piede sull’altare. La storia, benché insolita, piacque, e Pietro Andrea Ziani, collaboratore di Cesti alla corte viennese, volle musicare anch’egli quel libretto (
La Semiramide, Venezia 1670). Qualche anno dopo una ripresa del lavoro di Cesti, rimaneggiata da Marc’Antonio Ziani, giovane nipote del precedente, andrà in scena al Teatro San Moisè (Venezia 1674) col titolo
La schiava fortunata.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi