Dopo sei anni trascorsi all’estero (in Russia e a Vienna), nel 1793 Cimarosa fece ritorno a Napoli, dove lo aveva preceduto l’eco dell’enorme successo riscosso dal
Matrimonio segreto. Se l’impresario del Teatro dei Fiorentini si affrettò ad allestire il capolavoro cimarosiano, quello del Teatro Nuovo commissionò un’opera nuova,
I traci amanti. Il solito Palomba, in quegli anni dominatore della scena librettistica napoletana, ideò una trama fittamente intrecciata, inserita nel fortunato filone orientaleggiante e imperniata sugli immancabili personaggi partenopei capitati chissà come nei paesi musulmani. Uno di essi è il giovane Giorgiolone, caduto in disgrazia e finito al servizio del pascià turco Mustanzir; l’altro un mercante napoletano di salumi e formaggi, Don Zaccaria, che spera di imparentarsi con qualche pezzo grosso d’Oriente tramite il matrimonio della figlia. La vicenda ruota proprio intorno alla figlia Lenina, desiderata da ben tre uomini: Mustanzir, il cadì Osmano e Giorgiolone, che era stato suo fidanzato a Napoli, dove era garzone di negozio del padre. Non manca la componente avventurosa, rappresentata dal personaggio di Rossolane, la moglie tradita di Mustanzir, creduta morta per suo ordine e presente nell’intreccio sotto spoglie maschili. La vicenda si snoda senza molta coerenza, fino allo svelamento di Rossolane, al pentimento di Mustanzir e all’unione tra i due innamorati napoletani. L’ambientazione orientale permette a Palomba di tagliare ogni legame con la concretezza quotidiana e di instaurare una dimensione di puro divertimento, tra personaggi mascherati da statue della moschea e piatti di maccheroni avvelenati fatti circolare a tradimento nel trambusto generale. Poco o nulla concede Cimarosa al lessico musicale ‘turchesco’ (quello, per intenderci, usato da Mozart in
Die Entführung aus dem Serail, fatto di acciaccature, intervalli eccedenti, impiego di particolari strumenti a percussione). Le marce dei soldati turchi inclinano solo a una generica brillantezza da parata e le molte scene di massa si traducono in ampie costruzioni polifoniche, che sfruttano le parole pseudo-turche per dare libero corso al gusto per il
nonsensetanto caro all’opera buffa napoletana. L’occasionale adesione alle buffonerie di Palomba non impedisce comunque a Cimarosa di coltivare al tempo stesso una giocosità più lieve, venata di tenerezza. La cantabilità diffusa, il delicato impiego dei legni, le parentesi a mezza voce nel cuore dei più strepitanti concertati rinnovano allora la cifra stilistica del
Matrimonio segreto.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi