Dopo la sfortunata esperienza veneziana (
Mitridate Eupatoree
Il trionfo della libertĂ , 1707), Scarlatti torna a comporre con una certa regolaritĂ per le scene napoletane, a cominciare dal
Teodosio(Teatro San Bartolomeo, 1709). A proposito di questâopera il conte Francesco Maria Zambeccari scrive: «Scarlatti ha fatto lâultima sua opera che non Ăš piaciuta niente, onde sâavrĂ sempre la noiositĂ di sentirlo»; il conte prosegue criticando la troppa ricercatezza della scrittura contrappuntistica che, adatta per la musica da camera, in un teatro «di mille persone, non ve ne sono venti che lâintendono; e gli altri, non sentendo roba allegra e teatrale, sâannoiano». Questo scritto Ăš sintomatico di un mutamento del gusto del pubblico, ormai attratto piĂč dalle acrobazie virtuosistico-vocali dei cantanti e dalla freschezza delle scene comiche che dalla complessa elaborazione musicale e drammaturgica dellâopera. A differenza di altre opere, meno fortunate, composte da Scarlatti nello stesso periodo, Ăš probabile che il successo tributato al
Tigranenel suo primo allestimento napoletano, e nelle due riprese avvenute rispettivamente a Innsbruck (1715) e Livorno (1716), sia da attribuire ad alcune componenti che soddisfecero le aspettative del pubblico: la presenza di arie di notevole difficoltĂ tecnica per le prime parti (Tigrane, Tomiri, Meroe e Policare); lâinserimento, alla fine del primo e del secondo atto e nel terzo (scena XV), di intermezzi comici, completamente slegati rispetto alla vicenda principale ma destinati comunque a due personaggi del dramma, Orcone e Dorilla. In queste scene, facilmente modificabili o eliminabili, come infatti avvenne nelle rappresentazioni di Innsbruck e di Livorno, i due protagonisti si atteggiano a maschere della commedia dellâarte (in un caso Orcone Ăš vestito da Dottor Graziano, pomposo professore dellâuniversitĂ di Bologna, e Dorilla con gli abiti di Zaccagnina da Bergamo) e interloquiscono intercalando storpiature in tedesco, in bolognese, bergamasco e latino. A queste concessioni al gusto dellâepoca si aggiunga una particolare attenzione nellâarticolazione formale delle scene in blocchi unitari che, insieme allâaccuratezza della scrittura orchestrale, alla modernitĂ di certe soluzioni timbriche e a un attento impiego degli strumenti a fini descrittivi o coloristici, permettono di porre questâopera tra le piĂč riuscite di Scarlatti.
Liberamente tratto dalle narrazioni di Erodoto, lâargomento del libretto dĂ un resoconto degli avvenimenti che precedono lâazione. La regina Tomiri aveva due figli: il primo, Archinto, era stato rapito e venduto al principe di Armenia, che lo aveva adottato chiamandolo Tigrane e lo aveva nominato, in punto di morte, suo erede al trono; il secondo, Seleuco, era stato ucciso in battaglia da Ciro. Per vendicarsi, la regina chiese aiuto a Policare e a Doraspe promettendo, in caso di vittoria su Ciro, di concedere la propria mano a uno dei due re. Lâazione ha inizio nel momento in cui Tomiri, fedele alla promessa, dovrebbe attuare la sua scelta, ma tenta di procrastinarla perchĂ© si sente irresistibilmente attratta dal comandante degli eserciti alleati, il principe Tigrane. Lâintreccio si complica con lâarrivo di Meroe â figlia di Ciro, promessa sposa di Tigrane e da questi creduta morta â che, giunta alla corte di Tomiri travestita da indovina col desiderio di vendicare la morte del padre, si fa riconoscere da Tigrane e gli chiede aiuto per lâattuazione del suo piano di vendetta. Si pone quindi per il protagonista la consueta alternativa, caratteristica dellâopera seria di genere eroico, tra la ragion dâonore e la legge dellâamore, che lâesemplare condotta di Tigrane saprĂ risolvere a favore di entrambe.
Atto primo. Dopo la sinfonia dâapertura (Prestissimo, Moderato, Allegrissimo), ha luogo il sacrificio di Tomiri: ella immola al dio Marte la testa di Ciro. La regina entra su un carro trionfale tirato da schiavi, preceduto da un coro di Sciti «che faranno festivi balli», e circondato da un coro di custodi del tempio. Lâintera scena del sacrificio Ăš articolata in diverse sezioni orchestrali e corali: marcia «dâoboi e fagotti sulla scena e violini in orchestra allâunisoni»; ballo; aria e coro che celebra Tomiri e la sua vittoria su Ciro; recitativo accompagnato di Tomiri; aria e coro conclusivo. In uno dei momenti piĂč intensamente lirici dellâopera, Tigrane ricorda il suo amore per Meroe (aria di sortita âAllâacquisto di gloriaâ, concertata con «oboi, fagotti e corni sulla scena»; in questâaria âdi trombaâ di notevole impegno virtuosistico, sia i corni sia gli oboi hanno una parte autonoma e dialogano tra loro su incisivi ritmi puntati). Meroe entra in scena travestita da indovina, scopre la testa del padre e giura vendetta confidando nellâaiuto di Tigrane (âDellâamante confido allâamoreâ). Tomiri concede udienza a Meroe che, intuendo i veri sentimenti della regina, le predice infelicitĂ e quasi indovina il suo amore per Tigrane (âProva eccelsa Ăš di grandezzaâ, con unâinteressante prescrizione di prassi esecutiva: «A modo di cantar Zingaresco ed appuntato semplicemente come sta»). Combattuta tra amore e senso del dovere, Tomiri affida la scelta dello sposo a Tigrane; questi decide di assegnare la vittoria al re che saprĂ sconfiggerlo in combattimento. Policare e Doraspe tramano per ucciderlo; Meroe, con Orcone, predispone un piano per far riapparire la propria ombra, fingendo una magia dinanzi a Tigrane; questa scena, piuttosto articolata e con un efficace impiego del recitativo accompagnato a scopi descrittivi («Qui Orcone segue a far circoli e segni, scuotando la verga»), si innesta nel primo intermezzo che conclude lâatto. Orcone, quasi morto dalla paura e continuando a muovere la verga riesce soltanto a balbettare sulle note di un recitativo accompagnato (âDaâ cu- cu- cu, daâ cupi vorticiâ) caratterizzato da un veloce sillabare su scale discendenti, alternato ad ampi salti e continuamente interrotto da pause; dopo un recitativo strumentato in cui Dorilla si prende gioco di Orcone, la scena termina con un duetto.
Atto secondo. Unâaltra scena spettacolare apre lâatto: una marcia («con oboi e fagotti sulla scena e violini nellâorchestra») in onore di Tomiri «e coro di Sciti che fanno diversi spettacoli, alla loro usanza»; seguono quindi un ballo, una sonata per la lotta e una sonata per la zuffa deâ gladiatori (con lâindicazione: «si replica sempre finchĂ© finisce la zuffa suddetta»). Tomiri placa lâira dei re, che si riappacificano con Tigrane. Meroe tenta di uccidere Tomiri addormentata ma viene fermata da Tigrane che, sorpreso con lâarma in pugno, viene accusato. Costretto al silenzio per non tradire lâamata, viene condannato a morte. Nel secondo intermezzo comico Orcone, «vestito galante alla parigina, con parrucca» e Dorilla, in abiti da contadina tedesca e storpiando la lingua (âIch bin Lipaberâ), danno vita a una vivace scenetta dâamore (âPensa che il core saltaâ, un divertente gioco musicale che descrive, sulle note rapidamente sillabate di veloci scale, lâimmagine del cuore che salta in ogni direzione).
Atto terzo. La posizione di Tigrane, accusato di tradimento, si fa sempre piĂč critica; tuttavia il senso dellâonore gli vieta di accettare lâoccasione di fuga che la regina gli offre. Mentre Meroe si appresta a salvare Tigrane (âSussurrando il venticelloâ con effetti descrittivi dellâorchestra), Tomiri annuncia a Policare, innamorato della regina, che presto il principe morirĂ (âChi mi dice spera?â con effetto dâeco e con un probabile utilizzo di un richiamo fuori scena per imitare il «canto del rossignuolo», prescritto in partitura e suggerito dal testo poetico). Nel terzo intermezzo comico (scena 15) Orcone, «vestito da dottor Graziano» e Dorilla negli abiti di Zaccagnina, recitano una gustosa scenetta in latino storpiato e in dialetto bolognese (âCancaron, cancaronazâ, Orcone, âDof la sta la innamorĂ â, Dorilla) cui fa seguito un duetto; un ballo e unmenuetconcludono la scena. Lâazione principale riprende con Tigrane incatenato e fiero di andare incontro a una morte gloriosa. Meroe entra vestita da principessa, rivela la sua vera identitĂ , dichiara la sua colpevalezza e viene incatenata al posto di Tigrane. La soluzione del dramma avviene grazie alla tempestivitĂ di Oronte, che irrompe sulla scena dimostrando con prove alla mano che Tigrane, pur aiutando Meroe nei suoi propositi di vendetta, non ha tradito la regina. Il dramma si conclude con il riconoscimento di Tigrane da parte di Tomiri, che perdona Meroe, acconsente alle sue nozze col figlio e sceglie Policare come proprio sposo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi