Oggi ricordato essenzialmente per la fama leggendaria del pianista, Eugen d’Albert era apprezzato ai suoi tempi anche come compositore e drammaturgo; della sua abbondante produzione operistica sopravvive oggi, in sporadici ritorni sulle scene, il solo
Tiefland, singolare crocevia di wagnerismo e di naturalismo, anomalo trapianto di ascendenze zoliane in terra tedesca. Il titolo (come avviene in Italia per
Siberia) incorona a protagonista non un personaggio, ma un’ambientazione; la
couleur localenon ha più il valore complementare di sfumatura connotativa, ma promana come quintessenza espressiva dai minimi addentellati della partitura, a inverarne il senso non tanto sul piano psicologico quanto su quello della caratterizzazione strutturale.
Atto primo. In Spagna, all’aria libera dei Pirenei e nelle brume opprimenti della pianura – appunto il ‘Tiefland’ fatale. Il giovane pastorello Pedro, inesperto del mondo e delle sue malizie, accetta pieno di gratitudine l’offerta propostagli dal ricco padrone Sebastiano, ossia le nozze con la bellissima Marta. In realtà Sebastiano è costretto a sua volta a sposarsi per cercare di salvare le sue finanze dissestate, e vuole zittire le fondatissime chiacchiere sulla sualiaisoncon Marta obbligandola a metter su famiglia, con l’intesa di tenersi disponibile anche per l’antico amante. Marta, a cui fin da piccola è stato imposto di soddisfare le voglie di Sebastiano, è disperata e disgustata da questo ennesimo commercio stipulato sulla sua persona; ben presto capisce però che Pedro è l’innocenza personificata e che l’ha sposata per amore, non certo per meschini calcoli economici.
Atto secondo. Si assiste a un capovolgimento di ruoli: Pedro, disilluso, è intenzionato ad abbandonare Marta, che dal canto suo ora lo ama appassionatamente. L’impassedi orgoglio si sblocca quando sopraggiunge Sebastiano, e tenta di imporre a Marta di danzare per lui, con una prepotenza a cui la giovane si ribella gridandogli in viso la sua colpa. Accecato dall’ira, Pedro sfida Sebastiano e lo soffoca con le proprie mani; quindi la coppia rappacificata si avvia verso i limpidi cieli dei pascoli pirenaici.
La nomea di wagnerismo che ha condizionato la ricezione diTieflandne ha ostacolato una comprensione obiettiva. In realtà d’Albert riesce a svincolarsi da un epigonismo che pure nei suoi primi lavori era ben marcato e trova una via personale, neutralizzando gli influssi di Bayreuth con un misurato corteggiamento dei canoni ‘naturalisti’. Il declamato scabro entro cui si incanala buona parte dei dialoghi non ha niente da spartire con la prosodia wagneriana; l’impiego stesso del cromatismo, così affilato e tagliente, si inquadra in una generica tendenza di fine Ottocento, ma non giustifica un rimando obbligato a Wagner. Il primo quadro, che coincide con il prologo e si svolge sui Pirenei, concentra in sé gli aspetti forse più interessanti della partitura, identificabili nei temi spagnoleggianti, ambiguomélangedi connotazioni paesistiche di tipo folcloristico e di armonie irrelate, protese verso un primitivismo incontaminato in cui dimora la redenzione. Il vero contrasto è quindi quello fra la pianura corrotta, segnata dal pettegolezzo maldicente delle tre comari onnipresenti, e gli spazi montani con i loro infiniti silenzi, grazie ai quali l’anima si eleva. E come i temi di Sebastiano sono aggressivi e segmentati, così quelli legati a Pedro e al suo mondo incorrotto si distendono in morbide arcate sonore, spesso fluttuando sulla sospensione di un pedale quasi estatico. A Marta spettano numerose idee motiviche, accomunate da un pathos dolente e dal veleno di un cromatismo attorto, all’epoca moneta corrente per evocare le lacerazioni passionali. Occhieggia timidamente una venatura simbolista, condensata alla fine del primo atto e contrapposta ad altri particolari di crudezza verista: quando Pedro racconta a Marta, in un’imbarazzatissima prima notte di nozze, come riuscì un tempo a uccidere un lupo in un formidabile corpo a corpo, si ricongiungono echi mnestici del paradiso pirenaico e anticipazioni allegoriche della tragedia che si consumerà nel secondo atto. Una nota gentile viene introdotta poi con il personaggio di Nuri, fanciulletta che assiste al dramma alla maniera di Yniold (il fanciullo diPelléas et Mélisandedi Debussy), con occhi innocenti e lingua involontariamente nefasta: Nuri canta due ballate che sono quadretti dinaïvetée di semplicità popolareggiante, con cui d’Albert scaccia momentaneamente le nubi fosche che vanno addensandosi sui personaggi.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi