Formatosi alla scuola romana di Corelli e Pasquini e dal 1713 Maestro di cappella dei principi Ruspoli e Borghese, Gasparini scrisse le sue prime opere per Venezia. Presto apprezzato operista anche in Germania (Mattheson, Händel e Telemann guarderanno a lui quale modello) si distinse pure come didatta: il suo prezioso manuale
L’armonico prattico al cimbalo(Venezia 1708), ristampato per tutto il Settecento, è oggi strumento fondamentale per lo studio della tecnica del basso continuo e dell’improvvisazione clavicembalistica nell’accompagnamento dei cantanti nel repertorio operistico coevo (e non solo). Negli anni in cui scrisse la musica per
Tamerlano, Gasparini era considerato fra i più sensibili esponenti della nuova generazione, ma non riuscì a rimanere aggiornato e presto, accusato di conservatorismo, verrà soppiantato prima da Vivaldi e poi più in generale dalla nuova corrente ‘napoletana’. Il suo stile, infatti, colto e attento a una scrittura armonicamente densa e controllata, avrebbe in seguito offerto un terreno poco disponibile alle libertà virtuosistiche dei cantanti. Il testo di Agostino Piovene, nobile veneziano, è il suo secondo libretto e la seconda collaborazione con Gasparini. Trae spunto da una tragedia francese di Pradon, tradotta in italiano e rappresentata a Roma nel 1709.
Tamerlanofarà la fortuna di Piovene (almeno quanto a prestigio, in mancanza di diritti d’autore) venendo ripreso con i titoli più diversi per tutto il secolo e intonato dai più importanti compositori. Gasparini stesso ne trarrà tre versioni, la seconda del 1719 riadattata per la corte estense da Ippolito Zanelli (col titolo
Il Bajazet) e la terza di nuovo per Venezia (teatro San Samuele, 1723). È la storia triste ed edificante – resa poi celebre dalle musiche di Händel – del sovrano turco Bajazet che, sconfitto e umiliato da Tamerlano, imperatore dei tartari, riuscirà a liberare la figlia Asteria, e a ridare a sé la dignità , solo col suicidio. Il finale è tuttavia lieto e vede ricongiunte le coppie Irene-Tamerlano e Andronico-Asteria sconvolte dai capricci del tartaro sovrano per la figlia di Bajazet. Della versione del 1711 sono rimaste solo un paio di arie, mentre sopravvive la partitura emiliana del 1719, radicalmente mutata rispetto alla precedente e destinata a un
casteccezionale (Bernacchi, Borosini, Benti-Bulgarelli, Bordoni, Vico e Pasi). In quest’opera (ci si riferisce ovviamente alla versione 1719) Gasparini mette in atto gli artifici più raffinati a sua disposizione, facendo mostra di tutta la sua esperienza di teorico. In particolare la grande scena del suicidio di Bajazet consegue un’intensa drammaticità mediante arditi passaggi enarmonici, cromatismi insoliti (giocati sulle note mi-mi diesis), intervalli di tritono irrisolti; ed è probabilmente l’esempio armonicamente più complesso e ricercato riscontrabile nella scrittura operistica di questi anni. Il trattamento del recitativo, semplice o accompagnato, presenta spesso maggiore interesse rispetto a quello delle arie. Gasparini riesce a drammatizzare il senso della parola facendo ricorso non solo a concatenamenti armonici inconsueti, ma anche sfruttando – da clavicembalista magistrale – le dissonanze che producono le tonalità con molte alterazioni in chiave in un sistema non temperato.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi