Il primo lavoro che determinerà la fortuna di Carlo Pallavicino è
Il Vespesiano, scritto per l’inaugurazione del nuovo sontuosissimo teatro dei fratelli Grimani, il terzo da loro aperto a Venezia. Il teatro, per ampiezza, decorazioni e qualità degli allestimenti, si vuole imporre fin dal suo esordio come luogo principe dell’arte lirica, e ci riuscirà egregiamente. Non stupisce perciò la scelta del soggetto, affidato a Giulio Cesare Corradi, tutto teso a sottolineare la straordinarietà del nuovo edificio: l’imperatore Tito Flavio Vespasiano fu infatti colui che fece erigere il Colosseo. Di Vespasiano, in quest’opera, si celebrano il rigore morale e l’umanità , contrapposte alla dissolutezza degli altri personaggi, a cominciare dai suoi stessi figli Domiziano e Tito. Il primo tenta di sottrarre lo scettro imperiale al padre e la moglie al fratello; il secondo, poco preoccupato della sorte della propria sposa (la moglie era stata rapita da Vitellio e, forse, violata), attenta alla virtù della schiava Gesilla, incerta se concedersi a questi o al generale Attilio. Ma non è tanto l’evoluzione della vicenda che importa, quanto l’originalità con cui Corradi adatta lo spettacolo nello spettacolo: l’esempio più significativo è quello che conclude il secondo atto, dove Vespasiano fa allestire la rappresentazione della caduta di Fetonte a emblema degli errori (perdonati) del figlio Domiziano. Ma se ne contano altri: il banchetto musicale, il Tevere illuminato dalle barche che lo percorrono durante il corteo notturno, Tito e Gesilla che si dilettano in un improvvisato concerto davanti alla finestra, l’esibizione dei lottatori inscenata da Domiziano e lo stesso finale dell’opera con l’allegoria dei quattro elementi (soluzione riproposta ma con diversa intenzione anche in
Messalina). È insomma la celebrazione dell’apparenza, dove l’intrigo amoroso sembra l’aspetto marginale di un soggetto apparentemente storico, ma che mira invece a una speculazione meta-teatrale affatto insolita. La brillante carriera veneziana di Pallavicino – compresa fra due importanti incarichi svolti a Dresda (dove nel 1672 sostituisce Heinrich Schütz quale Kapellmeister) – partecipa con Legrenzi della stagione successiva a Cesti e di quella precedente a Pollarolo; un periodo in cui la scrittura operistica si caratterizza, fra l’altro, per la definitiva assunzione del binomio recitativo-aria quale struttura dominante della drammaturgia musicale.
Vespesiano, in questo senso, sembra ben aprire la strada all’indirizzo dell’ultimo quarto di secolo, dove per intercambiabilità , aggiunte e omissioni l’opera più facilmente si presta ad adattarsi alle esigenze di ogni nuovo allestimento (e del
Vespesianose ne contano un’infinità ), esigenze legate al luogo, al pubblico, ma soprattutto – e d’ora in poi sempre di più – ai cantanti, presto quasi gli unici veri artefici del successo o del fallimento di uno spettacolo.
Fonte:
Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi